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Il fondamento della scrittura secondo David Foster Wallace

Il 21 maggio 2005, David Foster Wallace salì sul podio del Kenyon College per regalarci uno dei più geniali discorsi d’apertura di tutti i tempi: Questa è l’Acqua, la sua intramontabile meditazione sul senso della vita e sullo sforzo di vivere stando sempre vigili e all’erta.

Tra le sue parole, mi si ferma in testa quest’ammonizione:

Pensate al vecchio cliché: la mente è un ottimo servitore, ma un terribile padrone. Come molti luoghi comuni, a prima vista può sembrare ovvio e scontato, ma esprime una grande e temibile verità. Non è affatto una coincidenza, infatti, che gli adulti che decidono di uccidersi con un’arma da fuoco scelgano di spararsi proprio alla testa: sparano al terribile padrone.

Tre anni dopo, il 12 settembre del 2008, Wallace scelse di assassinare il suo terribile padrone – sebbene non sparandosi, ma impiccandosi. Era la fine di una ventennale battaglia contro la depressione, contro i farmaci e contro una vita che, nonostante i successi e i riconoscimenti, non riusciva a risolvere la sua ambizione.

La sua tragedia personale è stata immediatamente iscritta all’interno del mito moderno del genio torturato, trasformandolo nel santo patrono degli scrittori infelici e perennemente insoddisfatti. Grande sarebbe la loro sorpresa, se davvero si prendessero la briga di fare due metaforiche chiacchiere con Wallace e scoprissero che, per lui, il vero fondamento creativo della scrittura… è il divertimento!

“All’inizio, quando si comincia a provare a scrivere, l’unico obiettivo è divertirsi. Non ti aspetti che nessun altro ti legga. Scrivi solo e unicamente per liberarti, per far sì che la tua fantasia e la tua logica interna possano correggere le parti di te che non ti piacciono – e funziona! Ed è incredibilmente divertente! Poi, se sei fortunato e alle persone sembra piacere quello che scrivi, e cominci addirittura ad essere pagato per farlo, e recensioni entusiaste cominciano a fioccare attorno a te e una volta vedi una sconosciuta carina leggere un tuo libro nella metropolitana, allora ti sembra addirittura più divertente! Per un po’.

Poi le cose cominciano a diventare complicate e confuse, per non dire spaventose. Ora senti che stai scrivendo per altre persone, o almeno lo speri. Ora non scrivi solo per liberarti, il che probabilmente è un bene, dal momento che ogni masturbazione è un atto solitario e vuoto. Ma con cosa sostituire il motivo onanistico della scrittura?

All’improvviso, scopri che ti piace che alla gente piaccia quello che scrivi, ed ecco, adesso scrivi per piacere alla gente. Questo tentativo di seduzione è un lavoro duro, e il divertimento viene soppiantato da una schiacciante paura di essere rifiutato.

Qualunque cosa sia l’“ego”, adesso entra a far parte del gioco e improvvisamente scopri una cosa che ti manda in tilt: per scrivere bene serve una certa quantità di vanità, ma superata quella certa soglia, la vanità è letale per la scrittura.”

Se stessimo chiacchierando a tu per tu, gli direi David, sì: ci sono giorni in cui voglio piacere più di quanto non voglia farmi ascoltare. Giorni in cui penso di conoscere la risposta ma non mi alzo dalla sedia per paura che qualcun altro possa occupare il mio posto. Mi dimentico che non solo il senso della scrittura ma anche quello della vita stessa è divertirsi, e che s’imparano molte più cose condividendo una risata che non un complimento. E allora, come facciamo, David?

“L’unica cosa che può salvarti è tornare al divertimento. E sai una cosa, se ci riesci scoprirai che questo nuovo divertimento è ancora maggiore e più maturo, perché tutta quell’ansia e quella paura di non piacere ti avrà reso quello spasso veramente necessario, e più funzionale. Ha qualcosa a che fare con il trasformare il lavoro in gioco. O con la scoperta che un divertimento disciplinato è qualcosa di più che una semplice perdita di tempo.

Ora che hai riacquistato il controllo, scrivere diventa un modo per esplorare all’interno più a fondo, portando alla luce quelle fragilità che (paradossalmente) più possono legare la tua esperienza a quella dei tuoi lettori! E così scrivere diventa un modo di dire la verità, invece che una maniera di rappresentare te stesso come aspetti possa più piacere al prossimo.”

Me l’immagino raccogliere una pallina da tennis, a questo punto, o magari tornare verso il pc su cui sta scrivendo Infinite Jest, che è proprio il manifesto del “dico quello che voglio quanto voglio e chi mi ama mi segua”, e conclude:

“Il fatto che tu possa ora divertirti a scrivere di te solo confrontandoti proprio con quelle parti di te stesso che all’inizio scrivevi per cambiare è un altro paradosso, ok, ma non c’è niente di cui aver paura: è un miracolo, è un regalo poterti guardare così onestamente, al cui confronto l’affetto di sconosciuti non è che polvere e sabbia…”

È un percorso a ostacoli, questo della scrittura, una bozza che scrivo e scrivo e scrivo di nuovo finché, improvvisamente, non vedo comparire un volto tra le righe: è la persona per cui scrivo che mi guarda dal bianco del foglio. Non è sempre la stessa, certi giorni scrivo ancora per gli altri, ma va bene così. E che sorpresa, che bella sorpresa, quelle volte in cui ritrovo i miei lineamenti nelle mie parole.

Marzia Figliolia

Vedi anche: Strappare lungo i bordi: Zerocalcare e l’Odissea dell’uomo contemporaneo

Marzia Figliolia

Ci sono tre categorie di persone che rischiano di finire sotto una macchina ad ogni incrocio: i distratti; quelli che hanno una melodia in testa e la testa tra le nuvole; quelli che pensano a cosa scrivere nella propria bio quando arriveranno a casa. Io appartengo a tutte e tre le categorie.
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