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Storia di come Quentin Tarantino mi ha deviato il cervello

Uno dovrebbe giocare con le bambole o fare a gara per finire l’album dei Calciatori Panini, vestirsi coi fiocchi ed essere la prima della classe o andare in giro coi più fighi della scuola perché, per specchio riflesso, è chiaro che lo sei anche tu.

E poi ci sono io, che a 6 anni legavo mia nonna alla sedia e poi andavo via col bottino: Rossane e Kinder pinguì.

Dopo anni ho scoperto che mia nonna non aveva paura anzi, si divertiva ma non lo dava a vedere per immedesimarsi nell’ostaggio così che io potessi credere di aver vinto anche quella volta, e quella dopo e quella dopo ancora.

Fu da piccola che capii di appartenere alla categoria degli “svitati” che non è qualcosa di brutto anzi significa potersi smontare, cambiarsi posizione ed essere sempre un altro da sé, provare mille incastri dimenticando le viti di collegamento e continuare a piacersi; quelli un po’ con la testa tra le nuvole che mentre mangiano il gelato il 70% della fragola è sulle scarpe e il 5% della vaniglia è tra i capelli (senza sapere in quale modo, in quale luogo e in quale lago). 

Ma c’è stato un momento esatto in cui mi sono promessa che non avrei mai fatto la brava se non avessi voluto, che non avrei mai dato ascolto a qualcuno se non avessi voluto farlo, che non sarei mai stata d’accordo con un’idea solo per piacere.

In quel momento avevo 13 anni e guardavo Kill Bill vol. 2 di Quentin Tarantino.

Con la mia solita mania di guardare i film un pezzo per volta, dalla fine all’inizio o interrotti e mai più ripresi, ci fu una scena per cui non parlai per tutta la durata della cena.

Voi immaginatevi un vecchio film in bianco e nero degli anni 30, l’aria afosa della piccola cittadina di El Paso in Texas e una chiesa piccola e umile senza nessun elemento che richiami l’attenzione.

Beatrix: Oggi farai il bravo?

Bill: Non ho mai fatto il bravo in tutta la mia vita. Ma farò del mio meglio… per essere dolce.

Io ero lì, su una panchina a guardare lo spettacolo e ho amato Bill più delle patatine fritte che mia madre aveva preparto.

Un ribelle che ama la morte e si tira fuori dalla vita e dà tutto per la sua sconfitta vittoriosa: così avevo deciso di essere dopo il grande “massacro ai due pini”, sarei stata l’erede di Bill Gunn.

Ma poi Bill non fa proprio una bella fine e quindi ho pensato che al massimo avrei potuto essere una sua amica, quella dalle pacche sulle spalle senza mai smettere di crederci.

Poi gli anni sono passati e a 16 avrei voluto averne già 30.

Non riuscivo in alcun modo ad abbassare quelle voci, a spegnere tutto, a cancellare le parole tutte uguali. Poi una canzone su Radio Capital e il gioco fu fatto:

But through it all when there was doubt

Ma nonostante tutto quando c’era dubbio

I shot it up or kicked it out

Ho girato in su o buttato fuori

I faced the wall… and… the wall

Ho affrontato il muro… e… il muro

And did it my way

E l’ho fatto a modo mio

Sid Vicious mi stava suggerendo di fare rumore e di alzare il volume per coprire le voci.

Rumore, rumore, rumore.

Solo così avrei potuto fare tutto quello che volevo, senza ordini, senza regole, senza restrizioni e allora anche Sid divenne mio amico ed era lì ogni mattina a ricordarmi che avrei dovuto solo premere un pulsante e poi puff!

A 18 continuavo a raccontarmi di avere tutti i problemi del mondo, convincendomene anche, e a pompare le mie paranoie fu Susanna Kayasen:

Dichiarata sana e rispedita nel mondo. Diagnosi finale: borderline recuperata. Che cosa voglia dire ancora non l’ho capito. Sono mai stata matta? Forse sì. O forse è matta la vita. La follia non è essere a pezzi o custodire un oscuro segreto. La follia siete voi o io, amplificati: se avete mai detto una bugia e vi è piaciuto, se avete mai desiderato di poter restare bambini in eterno…

Allora continuavo a ripetermi:

sono solo una ragazza interrotta.

sono solo una ragazza interrotta.

sono solo una ragazza interrotta.

Superata la soglia liceale sentivo di dover trasgredire, di prepararmi per il mondo adulto e crescere un po’ più in fretta per attirare le fantasie e le attenzioni del sesso maschile: volevo essere una Lolita e sentirmi dire

Io muoio, se tu mi tocchi

ma furono brevi i mesi in cui capii che Nabokov sarebbe dovuto ritornare al suo posto, tra Christiane Vera Felscherinow e Enrico Brizzi; che non avrei mai potuto truccarmi ogni mattina e dire “sì, signore” da brava Lolita.

Io dovevo stare in mezzo alla gente con le palle.

E allora alla soglia dei 20 ho capito che Freddie stava provando a chiamarmi da un po’ ma io avevo troppo, troppo rumore nella testa. La sua voce ha saputo portarmi sulla terra e fatto abbassare un po’ le difese, ma senza doverle nascondere. Pronte lì per sparare a zero!

Con Freddie al mio fianco avrei potuto scalare anche l’inferno.

Io l’ho sempre saputo che I want to break free l’avesse scritta per me.

Poi hanno cominciato a dirmi “Sembri proprio una nera!” e allora Rosa Parks mi ha teso la mano e mi ha invitato a sedere accanto a lei in un autobus di bianchi e no, non ci saremmo alzate nemmeno per tutto l’oro del mondo!

Forse, senza i miei amici ribelli e un po’ svitati come me non riuscirei nemmeno a scegliere il gusto della pizza (per il gelato non ho dubbi!).

Però oggi sento di dirvelo:

non sono mai stata brava, farò del mio meglio… per essere dolce!

Serena Palmese

Vedi anche: CineByte: Bastardi senza gloria  

Serena Palmese

Mi piacciono le persone, ma proprio tutte. Anche quelle cattive, anche quelle che non condividono le patatine. Cammino, cammino tanto, e osservo, osservo molto di più. Il mio nome è Serena, ho 24 anni e ho studiato all’Accademia di belle Arti di Napoli. Beati voi che sapete sempre chi siete. Beati voi che sapete sempre chi siete.

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