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Ho svuotato la dispensa…

È successo anni fa. È successo ieri. Continuerà a succedere.

Il tempo passa, è cambiato il mio corpo, sono cambiata io, ma certe cose sono ancora lì, nel profondo, annidate nell’ombra.

Il mio disturbo alimentare è una creatura imprevedibile. Non striscia dalla sua tana un po’ alla volta, non si annuncia. Esplode. Un secondo sono sul letto a leggere, un secondo dopo ho divorato uno yogurt, cinque fette di pane, una manciata di mandorle e qualche cioccolatino. 

Il binge-eating è così, si nutre del vuoto e di tutto quello che ho nel frigo. Non sopporto questo abisso, la noia, la sensazione di non poter fermare nulla intorno a me. Non ho potere sugli altri, non ho potere su me stessa. E la vergogna che segue è così vasta. Sono un pozzo senza fondo, un bidone dell’umido. Faccio schifo.

Mettere a tacere quella voce è la cosa più difficile. Io ce l’ho fatta, ma talvolta ritorna. Torna a dirmi che, anche se non sono più obesa, sono ancora indegna d’amore, insignificante, incapace di fare bene qualcosa. Ma guardati! Non hai freni, non hai volontà, sei senza spina dorsale.

E quando torna a distruggere le mie certezze, è così facile crederle come un tempo. È così facile aprire la dispensa e afferrare tutto quello che mi capita a tiro. C’è un vuoto da riempire, un’urgenza che non so come arginare. Non ho il potere di fermarla, non riesco a pensare.

Ci sono giorni buoni, e giorni meno buoni. Nei giorni buoni tutto va come dovrebbe, sono la prediletta del nutrizionista. Mangio solo ciò che è programmato, se sono felice mi faccio passare uno sfizio. Il cibo non è una colpa, non dovrebbe esserlo mai.

Nei giorni meno buoni sono irrequieta, mi aggiro per casa come fossi braccata. Non so bene a cosa penso, è impossibile mettere ordine tra i pensieri e le emozioni. So solo che nei cinque minuti in cui mi ingozzo il bisogno che non riesco a identificare svanisce, e nel caos trovo qualcosa da fare. Non è vero che sono inutile, sto facendo qualcosa!

I dieci secondi che seguono il raptus sono i peggiori. Non posso tornare indietro nel tempo per non alzarmi dal letto o non aprire lo sportello del frigo. Non posso disfare ciò che ho fatto. 

A differenza della bulimia, il binge-eating non ti chiede di rigettare tutto fuori. Al massimo, di nascondere le prove. Quante carte di merendine nascoste nei fazzoletti per paura che mia madre le trovasse nell’immondizia, che vedesse in quanti modi sua figlia era guasta. Quante scatole di biscotti ricomprate prima che la famiglia si accorgesse che mancavano.

Non lo faccio più adesso, dopo un raptus non nascondo le prove. Anche perché la mia dispensa non è più quella di una volta. Niente merendine né biscotti, solo cose salutari, che non fanno troppo male nonostante l’uso che potrei farne. 

Non posso sconfiggere il binge-eating per sempre, ma posso limitarne i danni. Posso ingozzarmi di prodotti naturali, fatti in casa, senza zuccheri raffinati e porcherie chimiche. Posso vergognarmi meno perché so che non è colpa mia se qualche volta perdo il controllo. Non è colpa mia.

Non riesco sempre a mettere a tacere la voce quando arriva, ma posso risponderle quando mi guardo allo specchio, quando mi dice che non importa quanti sforzi io faccia, il mio corpo non è giusto, non ha l’aspetto delle attrici di Hollywood.

Posso ribatterle che il mio corpo è giusto perché è mio, perché mi ha tenuto in vita anche nei momenti peggiori della mia adolescenza, quando lo trattavo malissimo e ignoravo i suoi bisogni e lo incolpavo di tutta la mia infelicità.

Ci ho messo otto anni a capirlo. La colpa non è sua, non è del binge-eating, né del cibo. La colpa è del male che mi è stato fatto ogni volta che qualcuno ha deriso il mio corpo, dicendomi che non ero abbastanza o che ero troppo. Io volevo solo essere io.

Adesso lo sono.

Tra un giorno brutto e l’altro ci sono decine di giorni belli. Giorni in cui mi guardo allo specchio e sono fiera di me, mi siedo in tavola e il cibo è solo cibo. Il suo potere su di me non è più lo stesso. Non è una colpa, non è un conforto.

Parlarne mi aiuta. Con la terapeuta, con gli amici, con me. Rifletto spesso su quel vuoto che talvolta ancora minaccia di inghiottirmi. Lo riempio di pensieri belli, a volte mi sforzo, ma anche l’amarsi richiede esercizio.

Non sono venuta al mondo odiandomi. Me l’hanno insegnato. E allora io mi insegno ad amarmi, un piccolo complimento alla volta. E se il binge-eating ritorna, mi perdono. Se oggi è un giorno brutto, domani sarà bello.

Claudia Moschetti

Foto di Giovanni Allocca

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Claudia Moschetti

Claudia Moschetti (Napoli, 1991) è laureata in Filologia Moderna. Ha insegnato italiano a ragazzi stranieri e scritto per un sito universitario. È attualmente recensora presso il blog letterario Il Lettore Medio e redattrice per il magazine La Testata. Dal 2015 al 2021 ha collaborato alla fiera del libro gratuita Ricomincio dai libri, di cui è stata anche organizzatrice.
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