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Yele e la sacra bugia con TonyTres, l’arte in nome dell’anticlericalismo

Ceci n’est pas un blasphème, il festival delle Arti Censurate ideato e diretto da Emanuela Marmo, sta procedendo a gonfie vele e sta vedendo il susseguirsi di artisti di grande calibro.

Negli spazi del Pan troviamo l’esposizione delle opere degli artisti che hanno deciso di aderire al festival con le loro creazioni, tra questi ho avuto il piacere di incontrare Yele, che partecipa al festival presentando un’opera realizzata in collaborazione con TonyTres.

Ciao Yele! Ti va di presentarti ai nostri lettori e di spiegare quali sono stati i motivi che ti hanno spinta a partecipare al festival?

«Io sono Yele, solitamente mi presento come una femminista, antifascista e anticlericale. Penso che la risposta al perché della mia adesione al festival sia già in questa descrizione. L’anticlericalismo fa parte di me già da tantissimi anni ormai, quindi mi sembrava più che giusto aderire, lo faccio già nel mio: combattere quotidianamente contro un potere religioso. L’iniziativa era stupenda quindi, insieme ad altri artisti interessanti, non potevamo dire di no».

Yele e TonyTres

Quindi, quanto è importante un’iniziativa del genere? Quanta necessità c’è di queste iniziative in Italia in questo momento storico?

«In Italia, e non solo, sono fondamentali. Viviamo comunque nel nuovo millennio già da un po’ e siamo ancora oppressi. Nonostante in Italia si pensi che non sia così, io mi sento ancora tanto oppressa dalla religione. Ingeriscono in troppe cose: in politica, mettono bocca su tutto, dall’aborto, vogliono mettere nuovamente in discussione il divorzio, si permettono di dire cosa sia giusto e cosa sia sbagliato per quanto riguarda la nostra sessualità».

L’arte quanto ne risente della censura?

«L’arte ne risente nel momento in cui l’artista è parecchio in vista. Sicuramente un artista più conosciuto è più facilmente censurabile. Io credo che anche la censura, da un certo punto di vista, sia positiva perché permette di far capire agli altri quanto siamo limitati nel poter parlare di determinati argomenti, perché altrimenti le persone non si rendono conto di quanto in realtà ci sia questa oppressione. Per molti è tutto molto normale, invece non è così. La censura dimostra qual è la situazione reale nella quale viviamo».

Cosa pensi della scelta di ambientare il festival proprio a Napoli, che è la culla del sacro e profano?

«Direi che è perfetto.  Meglio di questo luogo non poteva esserci, forse ci voleva soltanto il Vaticano per arrivare in un punto più alto».

Qual è stato, invece, l’inizio del tuo percorso? Cosa ti ha fatto scattare la scintilla che ti ha portata ad intraprendere il tuo percorso nel mondo dell’arte e, soprattutto, in questo ambito?

«Il mio anticlericalismo nasce quando ero giovanissima, parliamo forse dei miei dodici, tredici anni. Ho iniziato a pormi le prime domande con le lezioni obbligatorie di religione a scuola, ho iniziato a rompere le scatole alla professoressa. Tante cose non mi tornavano. Poi, a mano a mano, sono diventata più radicale in quella che era la mia posizione. Nell’arte è venuto in automatico, quando disegno di solito cerco di esprimere un concetto che possa essere ironico o un po’ più aggressivo, ma comunque sempre tematiche che sento molto vicine a me. Ci tengo a precisare che in questo festival partecipo con Tony Tres, l’opera è realizzata in collaborazione».

Catia Bufano

Vedi anche: Subvertising e polemiche a Napoli. Che sta succedendo?

Catia Bufano

Laureata in Lettere Moderne, studia attualmente Filologia Moderna presso l’università di Napoli Federico II. Redattrice per La Testata e capo della sezione Fotografia. Ama scrivere, compratrice compulsiva di scarpe, non vive senza caffè. Il suo spirito guida è Carrie Bradshaw, ma forse si era già capito.

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