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Salario minimo perché volere non è potere

Salario minimo qui, salario minimo lì.

Siamo rimasti in pochi, sono 38 gli Stati membri dell’OCSE ( Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), e 8 sono i paesi che non hanno ancora istituito il salario minimo.

Austria, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia, Svizzera e, rullo di tamburi, Italia.

Sono anni che se ne parla, ascolatate questa canzone e guardate la pubblicazione su YouTube.

Oggi, però, all’alba della revoca del Reddito di Cittadinanza, il tema è diventato ancora più scottante.

La gente è esausta.

Sì perché in realtà garantire una dignità economica che possa coprire i guadagni di un lavoratore è una procedura assai obsoleta dal punto di vista filosofico-morale.

I comunisti lo scrivevano ne “Il Manifesto”, le piazze lo hanno urlato, ma qui da noi qualcuno ha sempre finto di non sentire, indirizzando l’economia verso un chiaro “ognuno è artefice del proprio destino”.

Mi dispiace, non è sempre così.

Rivelazione banale numero 1: Il contesto

Tener conto del contesto sociale, del tessuto intorno alla nascita di coloro che sono artefici del proprio destino, fa già in modo che ci sia una grossa limitazione nell’essere responsabili in toto di se stessi.

Il famoso volere è potere non è esattamente la filosofia del “povero”.

Chi è che può desiderare tanto forte una cosa da farla apparire?

La trappola è sempre quella: far credere al prossimo che sia tutta unicamente responsabilità di chi vuole o di chi non desidera, magari non desidera lavorare, magari si adagia sul reddito di cittadinanza, magari magari magari.

Oggi il “povero” non è solo quello dell’immaginario collettivo, oggi il concetto di povertà si estende e si allarga alla concezione che una volta chiamavamo “questione proletaria”.

Un piccolo borghese con casa in affitto in città, per poter lavorare sacrifica la quasi totalità delle ore di una giornata, spedendo soldi in aiuti per mantenere figli e casa non di proprietà, con stipendio inadeguato a mantenere una famiglia, una casa, una macchina. Cosa sarà costretto a fare? Dipenderà sempre da pesce più grande perché il suo salario non è adeguato ai ritmi che la vita di oggi gli offre, non riuscendo mai a svincolarsi da quel patto col sangue per guadagnare il minimo indispensabile per una vita.

E non si parla solamente di persone senza titoli di studio, che comunque non avrebbero meno dignità umana. Si parla anche di laureati, di persone che non hanno potuto continuare gli studi per supportare le famiglie, si parla delle più disparate tipologie di capitale umano alle quali, spesso si prospetta lavoro mal pagato, a nero, scevro dall’idea di qualsiasi diritto fondamentale.

Non esiste la volontà magica, un genitore che non può supportare un figlio nello studio, un contesto che non favorisce l’istruzione del singolo non permette e mai permetterà al quel singolo di essere artefice del proprio destino.

MAI.

Nessuno mai negherà che esistono coloro che sfruttano le situazioni, coloro che non rispettano le regole e che lavano ai poveri per dare a loro stessi. Nessuno mai negherà che esista un marcio hummus di società più o meno nascosta tra chi, invece, la vita la vuol vivere nel rispetto del prossimo.

Ciò non basta, però, a fare per tutti un discorso unico e senza scappatoie.

Questa potrebbe essere la nostra unica vita possibile, vorremmo provare a viverla dignitosamente, senza dover vivere per lavorare, ma lavorando per vivere.

Iniziamo da qualche parte.

La proposta delle varie opposizioni al govento di FI si basa su tali concetti, tutte, Italia Viva esclusa, propongono l’intruduzione di un minimo salariale di 9 euro l’ora, ai sensi dell’art. 50 della Costituizione.

La proposta di legge inizia così:

ONOREVOLI COLLEGHI E COLLEGHE ! — In Italia, come ha rilevato nel 2021 la Confederazione europea dei sindacati (ETUC –
European Trade Union Confederation) nello
studio Benchmarking Working Europe 2020
(Brussels, 2020), condotto dall’Istituto sindacale europeo (ETUI – European Trade
Union Institut), già prima della crisi economico-sociale dovuta alla pandemia di
COVID-19, il numero di lavoratori esposti
al rischio di povertà era aumentato sensibilmente nel secondo decennio del secolo.
Il fenomeno ha trovato approfondimento e conferma nella relazione « Inter- venti e misure di contrasto alla povertà
lavorativa » curata dal gruppo di lavoro
istituito con decreto del Ministro del lavoro
e delle politiche sociali n. 126 del 2021. Da
tale relazione si evince inoltre che, coerentemente con il ben noto fenomeno del
gender pay gap, la quota di lavoratori poveri
definiti con riferimento al reddito di lavoro
annuo netto risulta, nel 2017, pari al 16,5
per cento tra gli uomini e al 27,8 per cento
tra le donne, collocandosi in totale al 22,2
per cento, in forte crescita dal 17,7 per
cento del 2006.
Si evidenzia inoltre che il rischio di
bassa retribuzione risulta elevatissimo, pari
al 53,5 per cento, tra chi nel corso di un
anno lavora prevalentemente a tempo par- ziale.
Il fenomeno delle basse retribuzioni riguarda anche il lavoro parasubordinato e
autonomo, specialmente nei casi di eterodirezione e monocommittenza.

Per continuare a leggere, scarica il documento qui https://firme.salariominimosubito.it/

Il governo Meloni ricorda alcuni studi per cui il salario minimo renderebbe l’economia piatta, dando meno agio alla crescita. La risposta, a mio, avviso, è molto chiara:

Non esiste modo di risolvere un problema se non provando a farlo.

Quando ci ricorderemo del prossimo?

Quando la smetteremo di ricordarci unicamente di noi stessi?

Il prossimo potrebbe essere un nostro figlio che, in quell’azienda lavora 12 ore quasi senza sosta, per portare a casa quattro spicci, potrebbe essere l’ennesimo laureato costretto a scappare, potrebbe essere uno sconosciuto che a quel punto, piuttosto che subire, decide di vivere in strada. Eppure le soluzioni esistono, esiste la considerazione più umana del non essere unicamente per se stessi.

Da sempre esiste una cosa: la lotta di classe e finché i plebei, i proletari, i servi della gleba, i basso borghesi, scegliete voi, finché esisterà la possibilità di lottare per qualcosa in cui crediamo, qualcosa di giusto, allora lottiamo.

Oggi firmiamo la petizione, iniziamo con questo “specchietto per le allodole”, firmiamo un primo passo verso un’Italia meno per sé e più per noi perché il tuo prossimo, domani, potresti anche essere tu.

FIRMA ORA

Benedetta De Nicola

Prof. di lettere, attivista fan Marvel da sempre. Ho fondato La Testata e la curo tuttora come caporedattrice e art-director.

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