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Occidente di Dario Postiglione al Ridotto del Mercadante è il trionfo del nuovo teatro

Occidente è il titolo dello spettacolo ideato e scritto da Dario Postiglione con Rebecca Furfaro (Dira), Francesca Fedeli (Sara), Dariush Forooghi (Vittorio) e il giovane Giampiero De Concilio (Simone, Gabriele), messo in scena al Ridotto del Mercadante per la regia di Giuseppe Maria Martino.

Lo spettacolo resterà in cartellone fino a domenica 14 novembre. 

Il progetto è stato vicintore del Premio Leo De Berardinis per artisti e compagnie campane under 35 ed è a cura del Collettivo BEstand. E come prima edizione, questo premio Leo De Berardinis ha davvero sconvolto, riprogrammato e sorpassato le aspettative di chiunque ne nutrisse. Partendo dal presupposto, inoltre, che si trattasse di una iniziativa di giovani, possiamo senza dubbio affermare che non si è rivelata esclusivamente rivolta verso i giovani. 

Occidente è invece una opera grande, maestra, imperniata su vicende piccole ed enormi, apocalittiche e familiari, sul micro dramma che diventa macro dramma. Un testo che parte dalla tragedia del mondo – ambientata in un futuro prossimo in cui il sole non esiste più ed il cielo è coperto di cenere in seguito ad cataclisma – e si affaccia infine sulla prima apocalisse: il dramma familiare. La trama, un lento scoprirsi dal ritmo variabile ma sempre capace di trattenere l’attenzione, segue i suoi personaggi come un curioso camerman invadente, offrendoci scorci di giorni, di ricordi, piccoli affacci nella vita quotidiana, ma mai troppe risposte. 

Vittorio (Darioush Forooghi), quarant’anni, a vent’anni è stato un poeta riconosciuto su scala globale, uno dei talenti più brillanti della sua epoca, secondo molti critici. Vent’anni dopo, Vittorio è uno sceneggiatore di spot e serie tv con una dipendenza dagli antidepressivi.

La perdita della luce del sole, dovuta ad una misteriosa eruzione che ha gettato il pianeta nel buio, è per lui una ferita irrimediabile. Simone (un convincente Giampiero De Concilio) ha diciannove anni e vive con Vittorio da due. Per vivere, il ragazzo fa il musicista: suona in streaming le frequenze sismiche e compone in freestyle. Lui è nato dopo il cataslisma e la luce del sole non la conosce. Terza inquilina del loft in cui i due personaggi convivono è Dira (nel ruolo forse più difficile, l’attrice Rebecca Furfaro), l’ interfaccia ipermoderna che gestisce la vita quotidiana e il lavoro di Vittorio e Simone. Dira alterna promozioni, versi, messaggi, notifiche, news in quella che sembra l’unica finestra sul mondo di un’esistenza vissuta al chiuso, in un buio meteorologico e dell’anima.

La luce, la ricerca del sole è il filo conduttore simbolico e tematico di tutto lo spettacolo, definendo i personaggi con un chiaroscuro scenico e narrativo. 

Le scene di vita e le interazioni tra Vittorio e Simone sono interrotte dai messaggi registrati al microfono da Sara (Francesca Fedeli), un personaggio che sembra venire da un’altra dimensione. La sua voce racconta l’apocalisse in molte variazioni sul tema, descrivendo un’ Europa martoriata, in dissesto, sul punto di esplodere. Un mondo, quello restituito da Sara, che porta le ferite del passato per riproporle nel presente. Qualcosa, una verità scomoda ed inevitabile, ingravida la vicenda e viene fuori lentamente, ad ogni scossa di terremoto annunciata da Dira. Ciascuna, man mano, più forte della precedente, come un progressivo climax che prepara per la distruzione finale. 

La poesia, la tecnologia, la menzogna, il sesso e la decadenza si fondono in una potente costruzione policromatica e fitta di citazioni, ricerca, disperazione ed estetica. Il testo di Dario Postiglione trova respiro e corrispondenza nella messa in scena del regista Giuseppe Maria Martino, e nelle performance del cast conquista infine un meritato successo. Bellissimo il light design costruito da Giulio Nocera e splendide le scene curate da Sara Palmieri. 

Il teatro è tornato e ha ancora molto da dire. 

Sveva Di Palma

Vedi anche: Il primo teatro stabile e pubblico è la rivoluzione che ci piace

Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.

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