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Luna Park e gli anni Sessanta a colpi di stereotipi e drama

Luna park è sbarcata su Netflix il 30 settembre, nuova serie tv prodotta da Fardango e Netflix ispirata al LunEur, decennale comunità di giostrai romana.

La trama, volta ad essere mistery ma che cade molto spesso sul drama, è intessuta su quella che è la Roma degli anni Sessanta con tutti gli stereotipi che ne conseguono.

Abbiamo due famiglie al centro del racconto: la famiglia di Nora, che vede affiancati alla ragazza personaggi quali il padre e i nonni che portano avanti il vecchio mestiere di famiglia presso il loro luna park, per l’appunto. La madre di Nora, interpretata da Ludovica Martino in vari flashback, è venuta invece a mancare. L’altra famiglia non è libera e ribelle come quella di Nora, anzi. La famiglia Gabrielli rappresenta la Roma bene d’inizio anni Sessanta, portavoce di uno stile di vita fatto di feste e benessere.

Rosa, la figlia dei Gabrielli, una sera decide di farsi leggere i tarocchi da Nora nel suo luna park, rivelandole di avere un solo grande desiderio: quello di ritrovare la sua gemella scomparsa ad un anno e mezzo d’età. La bambina era nata con una voglia a forma di farfalla sulla spalla destra e indovinate? La nostra Nora ha un tatuaggio a forma di farfalla proprio sulla spalla destra, una rarità negli anni Sessanta. 

Seppure Luna Park sia stata ideata da Isabella Aguilar, già sceneggiatrice di Baby, la serie non sta riscuotendo lo stesso successo di quest’ultima. Mentre Baby si presenta come un teen drama, la serie in questione sembra tendere al target “serie per tutti”, ma non dobbiamo lasciare che sia proprio questo target a giustificare le scene inverosimili e gli stereotipi generazionali che Netflix, questa volta, ci ha proposto.

Una serie che partiva da un concept che poteva anche essere interessante, il mondo dei giostrai, si è però rivelata già dal secondo episodio molto poco realistica e, soprattutto, pesante e prolissa. A differenza dei prodotti italiani degli ultimi anni che potremmo annoverare tra i teen drama (vedi Skam Italia o Baby), Luna Park non funziona. Costruita su stereotipi e su una visione romanticizzata allo strenuo dei tempi passati, non cattura e non colpisce. La vasta presenza di sottotrame tende a far sì che neanche questa serie si distacchi dalla narrazione iper-drammatica tipica dell’industria televisiva italiana.

È proprio questo il problema di Luna Park: c’è troppo o troppo poco.

Dal punto di vista dell’ambientazione, in alcune scene, in particolare quelle ambientate all’interno del circoscritto ambiente del luna park, l’intento di dare un aspetto misterioso all’ambiente fa sì che alcune scene diano eccessivamente all’occhio tra nubi di fumo artificiale e riprese poco illuminate. Il tutto va poi a scontrarsi con il tentativo, tra una scena mistery e l’altra, di rifarsi alla Dolce vita della borghesia romana felliniana. Tutto ciò, sommato alle eccessive sottotrame e all’andamento piuttosto lento della narrazione, rende difficile, da parte dello spettatore, appassionarsi ad una serie che probabilmente aveva molto da dare, ma non ci è riuscita.

Catia Bufano
Foto copertina Cinematographe.it

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Catia Bufano

Laureata in Lettere Moderne, studia attualmente Filologia Moderna presso l’università di Napoli Federico II. Redattrice per La Testata e capo della sezione Fotografia. Ama scrivere, compratrice compulsiva di scarpe, non vive senza caffè. Il suo spirito guida è Carrie Bradshaw, ma forse si era già capito.

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