Arte & Cultura

Profilo di giovane attrice con acqua frizzante: intervista a Rossella Pugliese

È più forte di me. Il teatro è la mia Cariddi ed io un Ulisse impotente. Adoro indagare gli attori dietro i personaggi, le loro storie, i loro approcci al teatro, il loro rapporto tra tecnica ed ispirazione. Nessuno di loro riesce ad annoiarmi, o a non insegnarmi qualcosa di nuovo.

La mia ultima vittima è l’attrice calabrese Rossella Pugliese, recentemente vista in Racconti per ricominciare e Pentathlon.

I suoi personaggi femminili, sfaccettati e forti, sono il simbolo di un movimento, di un equilibramento di poteri all’interno del teatro italiano. Attrice – ma anche autrice, drammaturga e regista come per la sua opera Rusina – Rossella è una artista vera, poliedrica e coraggiosa. Parlare con lei è stato illuminante, istruttivo e magico. Niente vino bianco, stavolta, solo acqua frizzante e chiacchiere profonde.

Ciao Rossella.

<< Ciao, Sveva. >>

Allora, Rossella, parliamo un po’ di te. Lo so, è la domanda che mette tutti un po’ a disagio…

<< Allora, io quando entro in un posto in realtà non vado per parlare di me, ho bisogno di tempo, ho bisogno che ciò che mi circonda sia…in feeling… che rimanga vicino a me, perché ho paura della non accettazione, no? Come tutti gli attori. >>

Da cosa deriva questa paura della non accettazione?

<< Dall’insicurezza, chiaramente. Guardando anche le esperienze passate, come donna, in contesti lavorativi. È sempre la donna qui che deve dimostrare. >>

Quello che scrivi è anche per sfatare questo.

<< Assolutamente. Non voglio esser la portabandiera del femminismo, però vorrei che si dicesse “quella non è una donna con le palle, ma una donna con una vagina”. Perché una donna con le palle? Perché l’uomo è una figura forte. La donna non deve avere le palle, la donna deve avere la vagina e trarre da lì la sua forza, facendo uscire la forza dal suo corpo di donna. E questo chiaramente influisce su quello che scrivo, dato che cerco di mantenere, di fare una piccola battaglia sui ruoli femminili, su cui si scrive poco e anche questo è una cosa ormai detta, ma dire una cosa non equivale a farla e quindi bisogna cominciare facendo. Mi è capitato di scrivere personaggi femminili forti, completi, protagonisti della storia. >>

Quali sono i personaggi che hai creato?

<<Parlando di questo, non posso non pensare a Rusina, che è la storia autobiografica di mia nonna. Tutto ciò che racconto è vero, lei era una donna forte che mi ha cresciuta e i suoi insegnamenti provo a metterli in pratica nella vita, mantenendo il mio pensiero che viene imperativamente espresso, anche se scomodo. E Rusina è nata così per varie esigenze, un po’per parlare del mondo femminile, ma anche per partire dalle origini, da qualcosa di vero. Io parto sempre da un’emozione reale, che mi appartiene. Poi affianco altre emozioni che casomai non mi appartengono, mi distacco completamente. È il caso dell’ultimo testo che ho scritto, Ultimo strip, dove racconto di questa prostituta che si presenta come una donna consapevole e forte, ma in realtà poi scopriamo essere danneggiata, abusata, autodistruttiva. >>

Come entri nei personaggi che ti scrivi, una volta sul palco in veste di attrice?

<< Bisogna entrare completamente nel personaggio, accollarsi il suo dramma. Altrimenti non riesco a leggere negli occhi del pubblico che mi hanno capita. Quel tacito patto tra attore e fruitore, il patto di credibilità. Mi piace molto scrivere, dirigere. Per  Rusina è stato quasi inevitabile che mi dirigessi da sola, avevo necessità di far arrivare al fruitore la gestualità di quella donna, le note acute, gravi, che erano parte della partitura vocale di mia nonna, tanto che mia madre mi dice che grazie a questo spettacolo sente meno la mancanza della madre, perché ogni volta che lo vede vede la madre. È una carezza che sento di fare a mia madre. Durante alcune date, in Calabria, mi hanno detto una cosa bellissima, ovvero che si trattava di un pezzo antropologico, che andava portato nelle scuole, perché mia nonna era il prototipo di una donna che non esiste più, se non nei sud del mondo. Non è affascinante e assurda questa idea, dei sud del mondo accomunati? Il 2 sarò al borgo di Tarsia, in provincia di Cosenza, dove dovevo andare prima del lockdown. Sono molto felice di ricominciare da dove mi ero fermata.»

Come vedi questo nuovo modo di fare teatro, post Covid?

«Sono molto contenta, perché ho subito ricominciato a lavorare, ma non è come prima. Si sente la differenza nel calore del pubblico, è quasi come se fosse un mestiere diverso. Il teatro è tatto, è saliva, il teatro è contagio. Mettendo queste barriere c’è un distanziamento psicologico.»

Che consiglio daresti a chi vuole fare teatro oggi, a chi è rimasto, come te, irretito dal teatro?

« Questo è un domandone, perché il consiglio parte sempre da tu chi sei. Siamo tutti diversi, come si fa a dare un consiglio? Io posso solo dire che se hai conosciuto quel fuoco, quella cosa che non ti fa dormire la notte, che ti porta a non mangiare per recitare, se hai questa fame di conoscenza, questa cosa che ti tiene sveglio la notte, allora rimani sveglio e falla.»

Direi a tutti di seguire il consiglio di questa meravigliosa donna.

Buona veglia sui vostri sogni.

Sveva Di Palma

Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.

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