Addio libri? Cosa perdiamo quando smettiamo di leggere (spoiler: più di quanto pensi)

Un tempo si diceva “leggere apre la mente”, e non è solo un refrain romantico, ma una verità neuroscientifica.
Ma oggi la mente si apre solo quando si clicca “continua a guardare”.
Partiamo da un dato di fatto: leggiamo meno. Molto meno. Ma in fondo, cosa ci perdiamo? Solo qualche pagina di carta e un po’ di polvere sui comodini?
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«Tu apri i libri, e i libri aprono te.»
– Robin Williams, L’attimo fuggente
La lettura è una ginnastica mentale e la nostra mente è sempre più pigra perché la alleniamo poco. Il cervello si adatta al nutrimento che gli diamo: se lo abituiamo a video di 15 secondi non saprà più sostenere la complessità di un romanzo. Stiamo abituando il cervello a nutrirsi di “snack” informativi (brevi quiz, citazioni su Instagram, vlog, schemi e infografiche), quindi non possiamo pretendere che regga 300 pagine scritte.
Leggere è una forma di esercizio mentale strutturato. Ogni pagina compone lettere in parole, parole in frasi, frasi in paragrafi, paragrafi in narrazione: un percorso che coinvolge memoria di lavoro, funzioni esecutive, controllo dell’attenzione e capacità di inferenza.
Daniel Goleman parla dell’attenzione sostenuta come di un muscolo da allenare: senza la lettura profonda quel muscolo si atrofizza e, come confermano i dati, siamo nell’era del declino dell’attenzione sostenuta.
Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad un calo costante del tempo dedicato alla lettura: i dati ISTAT riferiti al 2023 mostrano che il 42% degli italiani non legge nemmeno un libro all’anno e il tempo medio settimanale per la lettura è sceso sotto i 50 minuti.
Senza lettura perdiamo l’abitudine a seguire percorsi mentali complessi: difficilmente riusciremo a progettare soluzioni articolate o a comprendere fino in fondo cause ed effetti. E questo vale per un romanzo, ma anche per un’idea di business, per un percorso terapeutico o per una strategia di vita.
Ma in fondo cosa ci stiamo perdendo? Forse solo un po’ di polvere sui comodini, libri accatastati qua e là per la casa, o qualcosa di più profondo?
EMOZIONI (A CARO PREZZO)
«Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni.»
– Umberto Eco
I libri ci allenano a tante cose.
Prima di tutto all’empatia: ci fanno vivere altre vite, ci fanno “sentire” nei panni di personaggi lontani, ci fanno vivere drammi, amori e avventure. I libri non ci offrono emozioni pronte da consumare, ci chiedono di partecipare: chi chiedono di immaginare lo sguardo di Anna Karenina, di percepire il respiro ansioso di Holden Caulfield, di condividere l’inquietudine di Gregor Samsa. È un allenamento all’empatia che agisce sulle aree cerebrali deputate al “mirroring” emotivo, contribuendo a rafforzare la nostra capacità di comprendere le emozioni altrui.
I libri ci espongono alla frustrazione di capire e di aspettare, una sorta di allenamento alla tolleranza emotiva. Ci insegnano la pazienza: una piccola sofferenza (positiva) di aspettare per la soluzione di un enigma narrativo. Un romanzo ci costringe ad accettare l’attesa, il mistero, il dubbio. A volte arranchiamo, rileggiamo, ci perdiamo in digressioni (quanto ho odiato James Joyce!) ma è proprio lì che impariamo a tollerare l’incertezza, a rimanere calmi di fronte al non‑conosciuto. Questo esercizio è fondamentale per sviluppare resilienza e tolleranza alla frustrazione.
E sì, oggi possiamo anche affidarci agli audiolibri, ai podcast o ai racconti online… ma se saltiamo la lettura, perdiamo l’atto intimo e lento di comporre le frasi nella nostra mente. Audiolibri e podcast possono integrare la lettura, offrendo stimoli uditivi e un contatto “senza mani” con la narrazione; ma se evitiamo del tutto la lettura “muta” – quella in cui ogni parola vive di suoni solo nella nostra mente – rinunciamo al piacere silenzioso di costruire i personaggi nel buio della stanza della nostra immaginazione.
OPS, MI SI È RISTRETTO IL LINGUAGGIO
«Un bambino che legge sarà un adulto che pensa.»
– Jerome Bruner
L’equazione è semplice: meno parole = meno pensieri complessi = meno consapevolezza.
Se si restringe il linguaggio si restringe il pensiero: meno parole significa meno sfumature per pensare. Le parole sono idee pronte all’uso.
George Orwell nel capitolo finale di 1984 ci ammonisce: «Se non hai la parola per un’idea, non puoi nemmeno concepirla». Ogni parola letta aggiunge un tassello al nostro “vocabolario interiore”, e ogni nuova sfumatura linguistica amplia la capacità di descrivere, comprendere e persino sentire emozioni complesse.
Chi legge spesso impara termini come “elefantiasi”, “metempsicosi”, “iperbole” o “proteiforme” – non solo curiosità da cruciverba, ma strumenti per pensare concetti astratti e raccontare la propria esperienza con maggiore precisione.
Senza ricchezza lessicale anche il discorso interno (il nostro parlare con noi stessi, quella vocina che ci racconta cosa) si impoverisce e il pensiero diventa più piatto.
LETTURA E SPAZIO TERAPEUTICO
«Non ho mai avuto un dolore che un’ora di lettura non abbia dissipato.»
– Charles de Montesquieu
Un libro è come una mini-seduta di psicoterapia: ti regala tempo senza chiederti niente in cambio se non un po’ di attenzione, ti offre uno specchio dei tuoi pensieri, ti guida e ti permette di vedere il mondo in modi insoliti e inaspettati.
La biblioterapia – una pratica clinica che utilizza la lettura per contrastare gli stati d’ansia, il dolore della depressione, alleviare la sofferenza del lutto e dei disturbi alimentari – lo dimostra da decenni. La biblioterapia seleziona dei libri adeguati per favorire la comprensione della sofferenza e favorire l’elaborazione emotiva.
Leggere è un’oasi di presenza: implica fermarsi, respirare e concedersi una pausa dalla frenesia digitale. Leggere è un rituale semplice e immediato per rientrare in contatto con sé stessi. Dedicare anche solo un’ora alla lettura significa crearsi uno “spazio‑tempo” in cui l’unica voce è quella che risuona nella nostra mente. È un atto di mindfulness “ante litteram”: rallenta il battito, riduce lo stress e promuove uno stato di attenzione aperta e non giudicante.
Leggere aumenta anche il benessere. Studi di psiconeuroendocrinologia (la disciplina che studia le interazioni tra i sistemi nervoso, endocrino, immunitario e la psiche) dimostrano che la lettura può abbassare i livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) fino al 68%. È un dato utile da ricordare e annoverare tra le attività di prevenzione complementare, assieme ad uno stile di vita sano, passeggiate nella natura e pratiche di respirazione.
LEGGERE È UN ATTO DI RESISTENZA
Leggere è un atto di ribellione gentile contro la superficialità. Un libro non ti manda notifiche ma richiede la tua presenza intera e, in un mondo che corre veloce, chi legge rallenta il tempo e si prende la cura di sé.
Siamo abituati a reagire con una reattività istantanea, mentre mettersi comodi con un libro sembra un piccolo gesto di sovversione gentile. È un modo per prendersi cura di sé, allenare la mente, nutrire l’empatia e conservare quell’atto sacro di radicare i pensieri in parole vere, immaginate, pensate o sussurrate.
Sii anche tu un rivoluzionario silenzioso: apri un libro, immergiti in storie antiche o future, e riscopri il potere trasformativo della lettura.
«Leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà.»
– Italo Calvino
BIBLIOGRAFIA (PER LETTORI MOLTO CURIOSI)
ISTAT, Rapporto Annuale 2023: La situazione del Paese
D. Goleman, Focus: Il potere dell’attenzione, 2013
E. Ophir, C. Nass & A. D. Wagner, Cognitive control in media multitaskers, Proceedings of the National Academy of Sciences, 2009
M. Iacoboni, Mirroring People: The Science of Empathy, 2008
J. Gross, Handbook of Emotion Regulation, 2007
G. Orwell, 1984, 1949
A. Kaufman & J. C. Kaufman, Creativity and the Dramatic Experience, 2007
N. J. Blume, Bibliotherapy: A Guide to Theory and Practice, 2001
K. Kabat‑Zinn, Full Catastrophe Living, 1990
S. Lewis et al., Effect of reading on stress reduction, Psychoneuroendocrinology, 2009
Elisabetta Carbone
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