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Pink Tax e Tampon Tax: il fenomeno del “gender-based pricing”

I prodotti destinati alle donne hanno subito nel tempo strategie di marketing che hanno causato una maggiorazione sul loro prezzo, dando vita al fenomeno della “pink tax”, una vera e propria discriminazione di genere.

In Italia, a partire dal 2024 l’IVA sugli assorbenti e sui prodotti per la prima è aumentata nuovamente al 10%, facendo tornare il tema della tampon tax e della pink tax al centro del dibattito.

Questo fenomeno sulle differenze di prezzo gender-based si è sviluppato gradualmente nel tempo a partire dagli anni ‘50, quando alcune strategie di marketing hanno portato alla creazione di prodotti “dedicati” al pubblico femminile. Questa differenza di prezzo si è manifestata in vari settori, partendo dalla cura personale, arrivando all’abbigliamento e persino ai giocattoli.

Quando nel 2014 hanno iniziato a circolare alcune polemiche sull’elevato prezzo di alcune confezioni di rasoi “femminili”, è stato portato alla luce il problema della differenza di prezzo per uomini e donne riguardo uno stesso prodotto, con la stessa funzione. L’anno dopo il Dipartimento degli Affari dei Consumatori di New York ha confermato tramite alcune ricerche, l’esistenza di questa tassa, affermando che i prodotti “rosa” costerebbero il 7% in più rispetto agli equivalenti maschili, arrivando fino al 13% per i prodotti igienici.

L’imposta sul valore aggiunto, applicata a prodotti come assorbenti, tamponi e coppette mestruali, ha reso questi prodotti un vero e proprio bene di lusso. Oggi nel nostro paese, l’aliquota del 22% persiste sull’igiene femminile e sui prodotti per neonati, poiché non vengono considerati generi di prima necessità.

Un’indagine ha provato che in Italia 1 persona su 6 non ha la possibilità di comprare prodotti mestruali, dei dati preoccupanti che sanciscono un vero e proprio fenomeno di period poverty (povertà mestruale), il quale compromette l’accesso ai prodotti mestruali, all’educazione verso di essi e verso la propria igiene personale in condizioni socio-economici sfavorevoli.

La mancanza di accesso a questi prodotti e a queste informazioni può causare per milioni di donne in tutto il mondo, problemi di salute fisica come infezioni e complicazioni dell’apparato riproduttivo, che possono avere conseguenze psicologiche molto negative. Uno dei principali fattori che contribuiscono alla povertà mestruale è lo “stigma mestruale” o period shaming, che nasce dalla percezione negativa riguardo al fenomeno mestruale, considerato anormale o addirittura abietto, portando molte volte ad un mancato sostegno verso le donne e alla propagazione di molteplici stereotipi di genere.

Alcuni paesi stanno lottando per ridurre o eliminare le tasse sui prodotti femminilli e la povertà mestruale, promuovendo questi fenomeni come questioni vitali per la salute pubblica e per l’uguaglianza di genere. Tuttavia, ancora nel 2025, c’è ancora molta strada da fare per abbattere quella che è una vera e propria discriminazione di genere e caso di in-giustizia economica (e soprattutto, sociale).

Ilaria Perris

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Ilaria Perris

Classe 2003, cinefila, sognatrice e napoletana. Studentessa di cinema e audiovisivo all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Appassionata di letteratura, arte, critica cinematografica e musica. Credo fortemente nel potere e nella libertà della scrittura e della corretta informazione.
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