Primo PianoSociale

I trucchi psicologici dello smartphone

I nostri cellulari sono ormai indispensabili per vivere, lavorare, comunicare, socializzare, condividere. Anche se creano un certo malessere. 

Comunicare, scrivere, annotare, cercare informazioni, prenotare le vacanze, ordinare la spesa, fare shopping, giocare… la maggior parte dei nostri bisogni li possiamo soddisfare tramite smartphone

E gli sviluppatori delle infinite applicazioni presenti sugli store lo sanno bene. 

Alcune caratteristiche delle app creano dei comportamenti problematici, ma il dato curioso è che sono progettate proprio per questo scopo: grazie a formati coinvolgenti ed immersivi non ci rendiamo conto del tempo che scorre, e ci passiamo sopra le ore. 

Più tempo passiamo su un’app, più informazioni di noi stessi riveliamo, e da questo l’azienda produttrice ne guadagna

Ma quali sono gli stratagemmi usati per farci incollare allo schermo del cellulare? 

  1. Il flow

I news-feed di Facebook, Instagram, TikTok, Twitter e similari riproducono automaticamente il video successivo, sfruttando un principio psicologico chiamato flow (in italiano, flusso). Scorrendo la schermata si rimane intrappolati e assorbiti nel flusso di immagini e video, e il tempo passa così velocemente da non accorgersene.
Scorriamo, scorriamo, scorriamo… all’infinito.
Ne guardo ancora uno e poi vado a dormire. E invece passano le ore. 

  1. L’effetto dotazione 

Scaricare un’app è facile e veloce, e risponde alla necessità di avere qualcosa, possibilmente subito

Non appena diventa nostro, psicologicamente, quel qualcosa sembra che valga di più e leghiamo a quell’oggetto (o app) un valore affettivo. I giochi online sfruttano proprio questo meccanismo: se all’inizio tutti sono gratuiti, dopo poco iniziano a chiedere piccole cifre per ottenere dei progressi, e l’attaccamento emotivo è così forte che il giocatore inizia a sborsare cifre di denaro (che pian piano diventano sempre più ingenti) per proseguire nel gioco

  1. Le spunte blu e l’effetto reperibilità 

Le due minuscole spunte su WhatsApp ci sollecitano a reagire il più presto possibile, creando un circolo vizioso per cui passiamo sempre più tempo sull’app. In qualche modo, l’applicazione aumenta la pressione sociale: appena si legge il messaggio il mittente lo vede, e se la risposta arriva in ritardo ci sentiamo quasi obbligati a scusarci o dare spiegazioni. Inutile dire che questo ci fa vivere con l’ansia della notifica non letta

  1. Gli algoritmi 

I feed ci mostrano quello che vogliamo, ingabbiandoci in contenuti potenzialmente apprezzati. Questo è dovuto al comportamento digitale che abbiamo avuto in precedenza. Quindi è un circolo che non solo si autoalimenta, ma che paradossalmente aumentiamo noi stessi: più tempo passiamo online, più gli algoritmi spingono a farcene passare ancora! 

  1. Sono un figo e tutti devono saperlo 

Un post senza like è una delusione, e spesso ci si chiede perché. La rete va a definire la posizione sociale, un rango sul continuum popolare-sfigato, e risponde al nostro bisogno di essere apprezzati e riconosciuti

Di conseguenza, prima di postare qualsiasi cosa, investiamo tempo ed energie perché il post piaccia. E se la pioggia di like tarda ad arrivare, potremmo sentirci delusi, tristi e ansiosi. Ma ovviamente, è tutto pensato per farci tentare la sorte nuovamente: con il prossimo post andrà meglio.

  1. L’effetto Candy Crush

Candy Crush è uno dei giochi più popolari per smartphone, ottimizzato anche per Facebook, con quasi 3 miliardi di download, ed è il miglior esempio di gamification. E crea dipendenza.
La dinamica del gioco è semplice: si inizia con 5 vite ma quando si perde una vita il gioco si interrompe, lasciando uno stato di incertezza. Chi vuole continuare a giocare deve pagare, e spesso lo fa molto volentieri. Infatti, il gioco si basa sul senso di progresso e miglioramento: anche la mappa mostra i progressi come un continuum, facendo sentire il giocatore capace e competente. Ma d’altro canto, per rallentare il processo di gioco e ottenere soldi, gli sviluppatori sfruttano il meccanismo della scarsità: più i livelli diventano difficili, più le 5 vite sono insufficienti per giocare. Ed ecco gli stratagemmi: o aspetti 30 minuti di pausa forzata (provando una fortissima frustrazione), o paghi o chiedi aiuto agli amici di Facebook. È geniale: i 30 minuti sono troppi, soprattutto per aspettare una vittoria e psicologicamente non sono abbastanza per abbandonare il gioco. Ed ecco che si paga. 

Possiamo uscire da questi trucchetti ingannevoli? 

In realtà, anche conoscendoli è difficile: strutturate in questo modo, le applicazioni sono i nuovi ipnotizzatori sociali

Elisabetta Carbone 

Leggi anche: Cos’è l’accessibilità digitale e perché non se ne parla abbastanza

Elisabetta Carbone

Sono Elisabetta Carbone, classe ’93, milanese di nascita ma cittadina del mondo. Mi sono diplomata al conservatorio per scoprire che volevo laurearmi in storia. Mi sono laureata in storia per scoprire che volevo laurearmi in psicologia. Dopodiché ho scoperto la sessuologia, ma questa è tutta un’altra storia. Non faccio un passo senza Teo al mio fianco, la mia anima gemella a 4 zampe. Docente, ambientalista, riciclatrice seriale, vegetariana.
Back to top button