Arte & CulturaPrimo Piano

Il cassetto segreto non è più un segreto 

Aprire un cassetto chiuso da tanto, troppo tempo, e trovarci dentro le cose più preziose, storie dimenticate o al contrario, mai conosciute. 

Era ora di tornare. A casa. Ne avevo nostalgia. Avevo bisogno di stare lì tra le mie cose. Nella mia testa mille pensieri fanno spintoni, ma sorrido, con la serenità di sempre, e senza che nessuno dei mille pensieri mi corteggiasse. 

È da qualche giorno che le cose girano in modo leggermente meno simmetrico, più caotico, e di sicuro, meno sereno. Non ne faccio un dramma, io sto bene, il sole splende, e tutto passa, prima o poi. Anzi, proprio perché tutto passa, parliamo di altro.

Scrivo sul quaderno. Rileggo tutto. Lo faccio sempre. Poi ripongo nel cassetto. Quello segreto che segreto non è. 

Così. Come Costanza Quatriglio, che, scoperchiando il suo cassetto segreto, decide di non lasciare nulla al caso. Per necessità e per volontà.

Questo documentario, Il cassetto segreto, si trasforma, così, in un lungometraggio che rappresenta pure una sorta di autoanalisi da parte della regista, per cercare di superare il lutto paterno e un’assenza che tutto quel ritrovo non può certo riempire. Ed ecco che il cinema diventa ancora un’arma per ricordare.

Dentro quel cassetto c’è il portato intimo e vitale di suo padre Giuseppe, figura pubblica di intellettuale, giornalista scrittore, visceralmente permeato dalla propria terra, la Sicilia, ma anche profondamente cosmopolita, cittadino, testimone e reporter del mondo in divenire attraverso oltre mezzo secolo scorso.

Nulla di più complesso che raccontare la vita e l’attività di un padre amatissimo attraverso il proprio lavoro di sceneggiatrice e regista, perché questa narrazione affettuosa, meticolosa e distillata in oltre due ore di film, è diventata un gesto culturale, artistico e politico. Come lo è del resto il miglior cinema.

Durata eccessiva ma necessaria. Come a non staccarsi mai. Tanto tempo per dormire poi lo troverò. Che non so dormire senza le mie fragilià. 

È successo a tutti, almeno una volta nella vita. È successo a me. È successo a lei. Eccola, la voce. Quella nella mia testa. E insiste. Insiste nel dirmi che non si possono tenere chiusi i cassetti.

Ti ricordi come fa la nostra canzone? Quella che dice: “Anna avrebbe voluto morire, / Marco voleva andarsene lontano. / Qualcuno li ha visti tornare / tenendosi per mano.”

La ascoltavamo in auto sempre. Ti va se tu sei Marco e io sono Anna? A me andrebbe bene.

Prendo le cuffie. Le collego al telefono. Metto la nostra canzone.

“Anna avrebbe voluto morire, / Marco voleva andarsene lontano. / Qualcuno li ha visti tornare / tenendosi per mano.”

Sarebbe bello saperlo prima che le cose possono cambiare, che qualcuno – non lo so chi, magari una saggia signora con i capelli grigi – arrivasse e ti avvertisse: “Aspetta ragazza, questa non è una canzone qualunque, non è una sera qualunque e lui non è una persona qualunque.”

Un giorno ti ci aggrapperai come non ci fosse altro al mondo.

Ecco, sarebbe fantastico se ti preparassero così ai cambiamenti.

Non lo pensi anche tu?

Francesca Scotto di Carlo 

Leggi anche: Mettimi in tasca così non mi perdi

Illustrazione di Francesca Scotto di Carlo 

Francesca Scotto di Carlo

Ventinove anni, napoletana. Di sé dice di essere un «cumulonembi», testarda, indistruttibile, assertiva. Scrittrice, umanista, attivista, è una di quelle persone con la voglia di cambiare il mondo, un passo alla volta.
Back to top button