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Cibo, metafore apparecchiate e l’arte che mangiamo

Cibo a profusione, tavola imbandita e persone care riunite intorno a quell’evento così semplice, ma sacro ed irrinunciabile, che è il pasto.

Incredibile come un piatto di pasta possa unire comunità, cultura e tradizione.

“Siamo quello che mangiamo” è un detto che così assume tutt’altro sapore.

Ed altrettanto incredibile è la risonanza che quello stesso piatto di pasta – come un cesto di frutta o deliziosi bignè – abbia una risonanza non poco trascurabile anche sotto il vigile giudizio dell’artista.

Nel vasto e colorato universo dell’Arte Contemporanea bisogna infatti ricordare che il cibo non è mai solo cibo e la fame – qualunque tipo di fame – non si soddisfa solo attraverso lo stomaco.
Passa sempre prima dalla vista e giunge, sempre, ad essere esperienza.

E se con tale premessa vi è venuto il languorino, che questi esempi riportati di sotto possano saziarvi pancia, occhi e cuore.

  • Consumismo, sessualizzazione, femminismo.

Cibo e sesso vanno a braccetto, e chi nega è complice di un sistema taboo.
Con l’opera Consumer Art di Natalia LL, artista interessata alla parità di genere nel corso degli anni ’70, sono proprio queste censure a dover essere sdoganate.

L’artista fotografa modelle differenti intente nel maneggiare alimenti dalla forma tipicamente fallica, come banane e salsicce, quasi come se stesse creando un repertorio pornografico in cui il porno, in realtà, passa in secondo piano.

Tramite i suoi scatti passa un messaggio forte e chiaro che trasforma la figura maschile in un toy, un oggetto di consumo, ribaltando l’immagine della sessualizzazione dei corpi, privilegio lasciato ancora oggi al pubblico XY.

  • A Los Angeles ho ritratto il mio amore

Quando Felix Gonzales-Torres accumulò in un angolo dell’Art Institute di Chicago una montagna di caramelle esortando i visitatori a prenderne una o più al loro passaggio nel museo, in pochi avrebbero detto che si trattava di un omaggio d’amore.

Portrait of Ross in L.A. è un’opera intensa quanto significativa. Quei dolciumi altro non sono che la raffigurazione simbolica del compagno di Gonzales-Torres, Ross Laycock, morto di AIDS nel 1991.

L’assottigliarsi della catasta di zucchero rappresenta il lento deterioramento dell’amato, il quale è poco a poco destinato a scomparire, costretto ad assumere medicinali che, paradossalmente, in un circolo vizioso, ricordano proprio quelle stesse caramelle.
Un finale amaro, al quale resta solo una piccola, mera e dolce consolazione.

Non guarderete più una caramella con lo stesso sguardo.

  • Aggiungi un posto a tavola…

Immaginate di invitare 7 persone a cena e che ognuna di loro abbia la possibilità di portarne altre 7. Così, senza un limite di partecipanti.
Questo è ciò che avviene durante le performance di Lucy e Jorge Orta: tutti seduti a colloquiare intorno ad una tavolata lunga metri, mangiando insieme.

70×7 The Meal riprende un concetto spiegato nel Vangelo di Matteo, dove il numero 70 ripetuto per 7 volte rappresenta l’infinito. I coniugi Orta, facendosi portavoce di temi quali l’evitare gli sprechi e la solidarietà, diedero vita a queste cene divise in atti e portate in tutto il mondo.

Ogni scena è pervasa da unicità, diversa per cultura e pietanze tipiche del posto scelto, riuscendo a trasformare ogni atto, ogni cena-performance, in un evento raro e prezioso.

(le immagini utilizzate fanno parte del XXXIV atto, avvenuto a Philadelphia)

  • Un atto di espiazione e resistenza

Non di frutta e verdura, stavolta, ma di terra, acqua e sale andremo a parlare. Cosa c’è di commestibile? Assolutamente nulla, ma la performance di Tania Bruguera, El peso de la culpa, ha in comune con un lauto pasto l’inghiottimento di questa mistura disgustosa fino al sentirsi fisicamente provati, proprio come durante un’indigestione.

L’artista cubana ha ripreso e riportato alla luce un avvenimento che coinvolse gli indigeni dell’isola, i quali, pur di scampare alle persecuzioni dei conquistadores spagnoli, promisero di mangiare fango fino alla morte.

Essendo Bruguera figlia di quella cultura spagnola e portandosi dietro il peso della colpa dei suoi antenati, cerca, in un atto di espiazione dai “propri peccati”, di ricordare quanto il popolo cubano sia stato valoroso ed abbia lottato per la sua libertà.
A costo della vita.

Ilaria Aversa

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Ilaria Aversa

Classe 1996, Ilaria Aversa nasce a Sorrento in un lunedì di giugno. Fortemente convinta che la pasta sia il suo unico credo, si è laureata in Storia dell'Arte, dimostrando di sapersi concentrare ed impegnare seriamente, ogni tanto. Ama prendersi poco sul serio, infatti la sua massima più ricorrente è "Almeno sono simpatica". O, almeno, lo spera.
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