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Giornata contro lo spreco alimentare – cosa fare per non buttare cibo

Dal 2014 ogni 5 febbraio viene celebrata la giornata contro lo spreco di cibo, che costituisce enormi perdite a livello economico e ha forti impatti sull’ambiente. 

Dedicare degli spazi sulle pagine social, sui giornali, del tempo nelle scuole per sensibilizzare circa questo “peccato capitale” della contemporaneità sta diventando sempre più urgente. E la Giornata Nazionale di Prevenzione dello spreco alimentare, arrivata alla sua nona edizione, può essere un’occasione importante per far conoscere i numeri di un danno economico-ambientale che non ha giustificazioni.

Partiamo dalla definizione: possiamo definire le perdite e gli sprechi alimentari come la diminuzione del cibo, quantitativa e qualitativa, in tutte le fasi della filiera alimentare, dalla produzione al consumo.

Il cibo e la sua perdita, dunque, sono strettamente correlati alla quantità enorme di spazzatura che accumuliamo ogni anno.

Pensavi che la plastica fosse il prodotto più presente nella tua immondizia? Pur con effetti disastrosi sull’ambiente, la plastica rappresenta solo il 12% dello spreco globale che produciamo ogni anno, mentre la fetta più grossa è costituita proprio da cibo e scarto verde, con il 44%

In cima alla lista troviamo gli Stati Uniti, che nel 2017 hanno 126 milioni di tonnellate di cibo sprecate (415 kg pro capite), seguiti dai maggiori paesi sviluppati d’Europa. In Italia, invece, si sono sprecate oltre 7,8 milioni di tonnellate di cibo nel 2016. Anche se il dato attualmente è in calo e c’è molta più attenzione agli sprechi (come è stato rilevato quest’anno durante il G20), buttare via il cibo nel nostro paese costa ancora parecchio, sia in termini economici che ambientali. 

Ogni tipo di alimento, infatti, ha un’impronta ecologica più o meno dannosa per il pianeta, partendo dalla sua produzione fino ai passi che lo conducono sulle nostre tavole. Sprechiamo ogni anno 1,3 gigatonnellate di cibo commestibile, che corrispondono a 3,3 gigatonnellate di emissioni di CO2: un dato che rende lo spreco alimentare il terzo produttore al mondo di gas serra.

Cosa possiamo fare per evitare gli sprechi? Partendo dagli accorgimenti classici, come evitare di far scadere cibi acquistati o prediligere i prodotti a km0, si arriva a iniziative sociali ed imprese che sul territorio nazionale stanno avendo grande fortuna.

Una delle prime è stata fondata e battezzata dall’Università di Bologna come Last Minute Market, che con 350 punti vendita recupera non solo cibo, ma anche farmaci e altri prodotti non alimentari. E infine l’app che sta spopolando da quale anno (finalmente) anche in Italia: Too Good To Go.

Fondata nel 2015, questa applicazione ha come missione quella di evitare gli sprechi, connettendo il compratore a negozi, ristoranti e altri fornitori di cibo sparsi sul territorio. Attraverso convenienti “box”, chi li acquista non solo ottiene un buon pasto ad un prezzo ridotto, ma aiuta anche l’ambiente, salvando del cibo invenduto che sta per finire nella spazzatura.

Ed è bene ribadire che sensibilizzare sul tema sarebbe la prima cosa da fare. Ma sbarazziamoci una volta per tutte di quella retorica banale, fatta solo dei numeri (ancora spaventosamente alti) di persone che ancora oggi, nel mondo, non possono nutrirsi adeguatamente.

Non si tratta più di una divisione tra paesi sviluppati e non: lo spreco alimentare incide su tutti, sulla salute di tutti e sul pianeta in cui tutti viviamo. La filiera della produzione alimentare, votata agli sprechi più assurdi per il soddisfacimento di pochi, ha effetti disastrosi con le sue emissioni sul cambiamento climatico.

Un fantasma che, purtroppo, ha toccato ancora troppe poche coscienze.

Elena Di Girolamo

Dati: https://toogoodtogo.it/it/movement

Elena Di Girolamo

(Madda)Elena Di Girolamo, classe ’96, si laurea troppo presto in Filologia Moderna, quando non sa ancora spiegare alla nonna a cosa servono i suoi studi. A mangiare è troppo lenta, ma è ingorda di libri, musica, fumetti, film e serie tv. Oscilla tra la convinzione di poter scrivere un best seller e la consapevolezza che mettere “leadership: 10” sul CV non le farà avere un posto da manager in Mondadori.
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