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Mindfulness: l’importanza del momento presente

Avete mai sentito parlare della Mindfulness?

Negli ultimi vent’anni, la comunità scientifica ha dedicato molta attenzione ad una antica pratica meditativa di provenienza orientale, la meditazione vipassana, in quanto mostra di possedere virtù benefiche per la salute e una notevole efficacia terapeutica per molti disturbi e problemi psicologici e fisici.

Stiamo dunque parlando di un’antica pratica meditativa di provenienza buddista, nota oggi in occidente grazie alle applicazioni cliniche.

Difatti, viene inserita nei protocolli terapeutici ufficiali per alcuni disturbi, tra cui depressione, i disturbi di ansia e le sindromi dolorose.

Il termine “Mindfulness” è la traduzione inglese di “sati”, che in lingua pali significa “tenere bene a mente”.

Vi starete chiedendo cosa bisogna ricordare: bisogna tenere a mente di portare l’attenzione al momento presente. All’hic et nunc, insomma.

Adesso cerchiamo di spiegarvi in modo concreto in cosa consiste tale pratica che, come accennavo prima, nasce dalla meditazione vipassana.

La meditazione vipassana ha cambiato in modo profondo la cultura della meditazione orientale più di duemilacinquecento anni fa poiché, prima del suo avvento, la meditazione era concepita come una forma di “assorbimento”.

Ancora oggi, molte persone concepiscono la meditazione come un assorbimento in qualcosa. Nella preghiera, nelle idee positive, nell’ipnosi.

Buddha pensò bene di chiarire un punto, ossia: se sono assorbito da un pensiero positivo, ad esempio, è vero che svaniscono le sofferenze. Posso non sentire persino il dolore, o la fame, o il desiderio irrefrenabile di qualcosa. Ma quando smetto di “meditare”, tutte le sofferenze, i dolori, gli impulsi, ritornano esattamente come prima se non più potenti.

Dunque non bisogna fuggire dalla sofferenza, ma lasciarle spazio. Riconoscerla ed accettarla come una normale “parte” della nostra vita e delle nostre emozioni.

La mindfulness è sì una meditazione, ma consapevole.

Vi faccio un esempio nel concreto.

Scegliamo un’attività quotidiana che eseguiamo in genere in modo automatico, spesso pensando ad altro: preparare il caffè. Proviamo a svolgere questa attività con consapevolezza, portando la nostra attenzione a quello che stiamo facendo, alle sensazioni e ai movimenti. L’odore del caffè macinato, l’acqua che scorre, il brontolio della macchinetta, il colore della tazzina, il gusto del caffè a contatto con le nostre papille gustative. Nel corso di questo esercizio, quando la mente divaga, notiamo dove quest’ultima tende ad andare e riportiamo l’attenzione all’attività che stiamo svolgendo.

Osserviamo, dunque, il momento presente in maniera non giudicante, rinunciando ad applicare qualsiasi tipo di etichetta e giudizio all’oggetto della nostra meditazione. La mente tende, per sua natura, a divagare verso altri pensieri. Osserviamoli, accettiamoli e ritorniamo alla nostra attività.

Quella che vi ho appena illustrato è la pratica informale, ma ne esistono altre.

Possiamo applicare i principi della mindfulness anche osservando il nostro corpo e concentrandoci sui suoi movimenti e sensazioni (caldo, freddo, dolore, tensione, rilassamento) oppure seguendo il nostro respiro ed osservando l’aria che entra ed esce.

La meditazione del corpo è molto importante per l’utilizzo terapeutico della mindfulness.

Assumiamo una normale posizione seduta con la schiena eretta oppure utilizziamo un tappetino in modo che tutto il corpo sia ben appoggiato al pavimento. Chiudiamo gli occhi ed entriamo in contatto con il movimento del respiro e con le sensazioni a esso collegate che proviamo nel corpo. Quando siamo pronti, prendiamo consapevolezza delle sensazioni fisiche del corpo, specialmente le sensazioni di contatto o di pressione, dove il corpo tocca la sedia o il tappetino. Respiriamo profondamente e, ad ogni espirazione, ci diamo ci lasciamo andare, sprofondando un po’ di più nel materassino o nel letto.

Lo scopo di questa pratica non è sentirsi in modo diverso, ossia rilassati o tranquilli: questo può accadere oppure no. La pratica mira a farci prendere consapevolezza, di ogni sensazione che riusciamo ad individuare mentre ci concentriamo su ciascuna parte del corpo.

Portiamo la nostra attenzione dapprima all’addome, osservando i movimenti della parete addominale inspirando ed espirando. Spostiamo poi il “riflettore” più giù, sulla gamba sinistra, nel piede sinistro, e verso l’esterno, sulle dita del piede sinistro. Concentriamoci su ciascun dito del piede sinistro e sulle sensazioni che proviamo: magari un formicolio, un senso di calore, o di freddo.

Proprio come nella pratica informale, anche qui la mente tende ad andare altrove, verso altri pensieri e ciò è del tutto normale. Osserviamo dove la nostra mente ci porta, accettiamo il pensiero e ritorniamo sulle nostre sensazioni fisiche.

Durante la pratica possono presentarsi alla mente delle paure, delle emozioni, dei disagi che hanno una grande presa su di noi. Questo è normalissimo e non bisogna avere fretta, poco alla volta è possibile conoscersi e conoscere i propri pensieri: l’unico modo per farlo è accettarli (e accettandoci).

Illustrazione di Vincenza Topo

Vedi anche: Ricordi: attenzione, maneggiare con cura

Catia Bufano

Laureata in Lettere Moderne, studia attualmente Filologia Moderna presso l’università di Napoli Federico II. Redattrice per La Testata e capo della sezione Fotografia. Ama scrivere, compratrice compulsiva di scarpe, non vive senza caffè. Il suo spirito guida è Carrie Bradshaw, ma forse si era già capito.

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