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Lady Oscar: bella la corona ma preferisco la spada

Lady Oscar è uno di quegli anime che ha attraversato intere generazioni e ha fatto breccia nel cuore della maggior parte dei telespettatori.

Intelligente, emancipata, capace di cavarsela da sola e di comandare un esercito, Oscar ci insegna che possiamo essere quello che vogliamo senza smettere di essere noi stesse.

Partiamo da una storia personale: la mia.

Non sono mai stata una fan dei cartoni animati, provocando una grande delusione in mia madre che sperava di tenermi buona per almeno un paio di ore il pomeriggio piazzandomi davanti alla scatola magica e mandandomi in pappa il cervello con Bim Bum Bam, quella sorta di programmazione infinita di cartoni dal dubbio fine didascalico, come Georgie, Mila e Shiro e via dicendo.

Eppure, ce n’era uno che riusciva sempre a catalizzare la mia attenzione, quello che non parlava di orfane maltrattate o di supereroi dai discutibili travestimenti ma che raccontava la storia reale, quella della Francia del Settecento, intrecciata col personaggio fittizio di una ragazza non orfana, non maltrattata e non dilaniata dall’amore ma forte, coraggiosa e caparbia.

Mi appassionai così tanto che iniziai a studiare storia con vivido interesse, a fare scorpacciate di libri ambientati in quell’epoca ma, soprattutto, decisi che da grande avrei voluto essere come Oscar François de Jarjayes.

Passiamo ad un’altra storia: quella di Oscar.

Credo sia superfluo scendere nei dettagli della trama del cartone animato tratto dalla serie di manga La rosa di Versailles di Riyoko Ikeda.

Oscar nasce a Versailles la notte di Natale, ultima di cinque sorelle e figlia di un padre disperato che non attendeva altro se non l’arrivo di un figlio maschio da allevare come suo degno successore di Generale dell’esercito.

Ma poiché il Generare de Jarjayes è pur sempre un abile stratega, decide di fare di necessità virtù e allevare questa creatura come un maschio.

Da un lato, il signor Jarjayes è avanti: abbatte gli stereotipi di genere permettendo alla figlia di imbracciare fucili e indossare pantaloni invece che sventolare ventagli e mantenere i lembi della veste come il resto dei cromosomi XX. Dall’altro lato, forse lo ha fatto nel modo sbagliato.

Fatto sta che Oscar cresce, impara la dura disciplina militare e diventa Capitano della Guardia Reale di Sua Maestà la cara e decapitata Maria Antonietta d’Austria.

Da qui una serie di avventure che si diramano sullo sfondo storico di una Versailles meschina e traditrice e di un popolo, quello francese, che inizia ad avere fame.

Alla fine, Oscar abbandonerà il ruolo di Comandante della guarda reale per assumere quello di comandante delle guardie francesi in un momento tragico per la Francia: siamo alle porte del 1789 e il popolo è pronto a insorgere.

Ora, mentre le mie amichette dell’epoca sospiravano davanti a Biancaneve, Cenerentola e alle altre principesse della Disney, io le guardavo perplessa chiedendomi cosa ci fosse di così entusiasmante nell’aspettare che un tizio blasonato venisse a prenderle a bordo di un cavallo bianco dopo aver sfidato un drago, una matrigna e quant’altro.

Io volevo essere in sella al cavallo e volevo essere io a sguainare la spada, proprio come faceva Oscar che, nascosta nella stanza del Re, aveva con un solo colpo beccato i tre briganti armati con spada e con lancia.

Ci si potrebbe chiedere cosa ci sia di così avanguardistico e perché io la stia facendo tanto lunga, quindi è meglio entrare nello specifico.

Partiamo proprio dall’inizio: Lady Oscar è una giovane ragazza che ha come compito quello di comandare le Guardie Reali della Regina, non perché “figlia di” o “moglie di” ma solo perché se lo merita, perché è in gamba e molto più capace di altri membri dell’esercito tra l’altro, tutti maschi.

Nonostante poi, sia quasi sempre e solo circondata da uomini, tolto qualche sporadico incontro con altre Dame di corte e lo stretto rapporto che la lega a Maria Antonietta – entrambe cose che, secondo me, convincono Oscar che sia meglio la sua vita che quella delle infelici, viziate, annoiate signore di Versailles – Oscar mantiene una grandissima eleganza e raffinatezza nonché una bellezza ineguagliabile rispetto alle altre che passano le giornate a incipriarsi con scarsi risultati.

Ferma, risoluta e autoritaria Oscar però non è un automa senza sentimenti, anzi, nel corso dell’anime l’abbiamo vista più volte correre in aiuto dei bisognosi e, alla fine, schierarsi dalla parte del popolo andando contro le sue nobili origini e, soprattutto, contro la sua amata regina.

Ma la cosa che sempre ho ammirato è che, pur avendo delle emozioni e dei sentimenti, Oscar non si lascia sopraffare da essi: non corre a gettarsi sul letto a piangere o va a lagnarsi dal Re come altre (vedi sempre la solita Maria Antonietta o la Contessa Du Barry) ma cerca la soluzione più pratica e la mette in atto.

Celebre e indimenticabile è la puntata Cuore di donna in cui Oscar indossa per una sera gli abiti femminili e danza con il conte Fersen, l’uomo di cui è innamorata e che però la friendzona perché ha perso la testa per Maria Antonietta che per il momento la testa la tiene ancora sul collo.

Dopo questo rifiuto che le spezza il cuore, Oscar giura a sé stessa che non si innamorerà mai più e che l’amore fa male ed è solo sofferenza. Benvenuta nel club.

Eppure, io da quella puntata ho imparato altro.

Ho imparato che non dobbiamo stravolgere noi stessi per piacere agli altri, che non dobbiamo smettere di essere quello che siamo perché anticonvenzionale e fuori dagli schemi.

E lo capirà anche Oscar più avanti quando, andando contro le regole dell’alta società e soprattutto contro il volere del padre, decide di non volersi sposare.

E deciderà poi, solo alla fine, di amare André che non è per niente nobile, andando così contro ogni convenzione.

È vero, non ho parlato della grande e infelice storia d’amore tra Oscar e André ma semplicemente perché stiamo parlando di un’altra storia: quella di Lady Oscar, Comandante delle Guardie Reali, modello da seguire, personaggio a cui ispirarsi.

Maria Rosaria Corsino

Illustrazione di Simone Passaro

Vedi anche: My Little Brony: quando l’innocenza diventa feticismo

Simone Passaro

Mi chiamo Simone Passaro e ho trentadue anni ma il dato è in continuo aggiornamento. Arrivato primo ad un concorso per sosia di Roy Paci, ho una controfigura che disegna al posto mio. Su di me Wikipedia dice: “la ricerca non ha prodotto risultati”.
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