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“Intostreet” ra’ curva. Gli ultras raccontati da Francesco Lettieri

Hanno dapprima chiuso gli stadi, rendendo uno spettacolo vacuo la bellezza dello sport popolare. Urgeva un bene supremo, quello della salute. Dopo hanno poi chiuso i cinema, impedendo anche la tanto attesa anteprima in sala del racconto delle curve di Lettieri, Ultras. Eccoci allora direttamente su Netflix, nel momento in cui lo stato dell’arte culturale perpetua sulle piattaforme streaming.

Francesco Lettieri esordisce con il suo primo lungometraggio, Ultras. Con la potenza visiva delle ultime drama series, l’autore racconta l’intensa epopea di un capo tribù. Di un guerriero Apache, Sandro, timido e impacciato nella sua vita privata ma duro e saggio nel suo ruolo di capogruppo. Intenso protagonista di una storia che vede il costante e tumultuoso incontro generazionale di chi ha ripiegato ogni ambizione nel senso di collettivo e amore per il tifo, per i propri compagni e colori d’appartenenza.

Il regista cerca di raccontare il complesso mondo del tifo organizzato, attraverso l’espediente narrativo del gruppo ultrà “Apache”, che vive una crisi di fine ciclo dopo Daspo e trent’anni di gloria alla volta della genesi di una nuova aggregazione, giovane e sfrontata dal nome NNN (No Name Napoli) che tenta di sfidare i vecchi capi tribù e prendere le redini del comando.

Sandro, detto anche “O’ Moicano” è splendidamente interpretato da Aniello Arena, che spesso pare portare quella spontanea verità in scena di chi ha vissuto un cammino di redenzione e peccato sulla propria pelle. Arena infatti, dopo un passato non facile tra carcere e legami alla criminalità organizzata, sceglie il varco di luce offerto dalla compagnia teatrale Compagnia della Fortezza a Volterra oltrepassando il buio di una vita intera da passare in prigione.

Dopo la notorietà, regalatagli dal suo primo mentore Matteo Garrone, conquista una candidatura ai David di Donatello per l’interpretazione in Reality del 2012 (seguiranno poi altri importanti ruoli, Dogman, La paranza dei bambini tra gli altri). Sandro vive una vita costantemente su un doppio filo, da un lato uno stanco ultrà pronto a cambiare vita, un ruolo paterno nei confronti del piccolo Angiulillo, con la sua fragile situazione familiare, e nell’ardere di quel fiore spontaneo che è l’amore, ingenuo e adolescenziale con Terri, una grande Antonia Truppo.

Dall’altro lato tutti i legami con il suo passato, con quella prima vita che non permette redenti e sconti, la sua celebrità da vecchio idolo della curva, il gruppo di Apache che cerca di imprimere il proprio patriarcato sul più giovane gruppo. Quello rappresentato da Pechegno (Simone Borrelli) e da un sorprendente e intensissimo Gabbiano (interpretato da Daniele Vicorito).

Infine, l’ultima generazione, quella più teneramente e spericolatamente emulativa, appunto di Angiulillo e dei suoi amici, la piccola paranza che rincorre le gesta dei più grandi.

Francesco Lettieri attraverso le quasi due ore di questa pellicola porta a compimento un lavoro visivo iniziato già negli anni addietro. Un ruolo, il suo, che va ben oltre la semplice mansione di videomaker ma vero e proprio creatore di un nuovo immaginario. L’immaginario sviluppatosi attraverso un filone musicale di videoclip che sanciscono l’hype visivo della nuova scena indie (da Calcutta a Carl Brave, da Motta a Giorgio Poi, Thegiornalisti e Noyz Narcos).

Non soltanto maestria registica ma capacità di scandire i confini della vera nuova metaletteratura underground, andandosi ad inserire con questo suo lavoro nel filone di un cinema verità sulla scia di Garrone o Edoardo De Angelis ma tanto più cool quanto affascinante è la storia segreta di Liberato (ah, il regista di tutti i suoi video).

Claudio Palumbo

Vedi anche: Liberato, tu ce faje ascì pazz

La Redazione

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