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Una corona d’alloro per un’impresa memorabile 

di Anna Russo

 

Quando lieti canti orneranno i solenni trionfi

e lunghi cortei vedrà il Campidoglio,

sarai sul capo dei condottieri latini:

sarai fedele custode davanti alle porte imperiali

e la quercia mirerà ch’è nel mezzo.”

– Ovidio, Metamorfosi, I, vv. 560-563

 

È ormai tradizione consolidata, cingere con una corona d’alloro il capo di un raggiante neolaureato. Spesso, tale consuetudine, rimanda alla nota figura di Dante, il “Sommo Poeta”; ma in pochi sanno da dove tragga origine.

Il mito narra di Dafne, una giovane e bellissima ninfa, figlia di Gea, la Madre Terra, e del fiume Paneo, la cui vita fu stravolta dal capriccio di Apollo ed Eros. Pare, infatti, che il giovane Apollo avesse appena compiuto l’incredibile uccisione del gigantesco serpente Pitone, e che, gonfio di superbia, si fosse burlato di Eros, colpevole di non aver mai compiuto straordinarie gesta. Profondamente adirato, Eros raggiunse il monte Parnaso e lì architettò la sua vendetta, preparando due frecce: una per respingere l’amore e l’altra per provocare un’intensa passione, la prima spuntata e di piombo, la seconda acuminata e d’oro, l’una scagliata contro l’inconsapevole Dafne e l’altra contro l’arrogante Apollo.

Iniziò così l’infaticabile ricerca del dio che, follemente innamorato, cominciò ad inseguire l’impaurita ninfa la quale, in fuga ed in lacrime, implorò la Madre Terra di proteggerla. Il cuore di una madre non può restare sordo al grido d’aiuto dell’amata figlia e, così, Gea non esitò un solo istante: lentamente rallentò il passo della ninfa, i suoi piedi divennero forti radici, il morbido corpo si tramutò in tenera corteccia, le esili braccia alzate al cielo divennero rami e così i suoi capelli, arricchiti di profumate foglie. Quando Apollo terminò, raggiungendola, la sua affannosa corsa, strinse forte a sé la dolcissima amata, ma ella era ormai tramutata in uno splendido alloro. L’amore del dio, però, non svanì. Allorché, dispose che il lauro sarebbe divenuto l’albero sacro al suo culto e che chiunque avesse compiuto nobili e memorabili gesta avrebbe ricevuto in dono un suo ramoscello in segno di onore.

Apollo l’ama, e poggiata la mano sul tronco sente il petto trepidante ancora sotto la corteccia fresca, e stringe fra le sue braccia i rami, come fossero membra e bacia il legno, ma il legno si sottrae ai suoi baci. Allora dice: «Poiché non puoi essere mia sposa, sarai almeno l’albero mio: di te sempre, o lauro, saranno ornati i miei capelli, la mia cetra, la mia faretra.”

– Ovidio, Metamorfosi, I, vv. 553-559

La Redazione

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