Il cervello e i traumi

Nei primi anni Novanta con l’ausilio delle nuove tecniche di brain imaging si è potuto osservare il cervello nell’esatto momento in cui elabora sensazioni, ricordi, emozioni, mappando così i suoi circuiti.
Prima la Tomografia a Emissione di positroni (PET) e poi con la Risonanza magnetica funzionale (fMRI) è stato possibile per gli scienziati visualizzare quali parti cerebrali si attivano quando le persone che hanno vissuto un trauma ricordano.
La Harvard Medical School è stata il primo istituto all’avanguardia coinvolto nella rivoluzione operata dalle neuroscienze e nel 1994 un giovane psichiatra, Scott Rauch, primo direttore del Laboratorio di imaging del Massachusetts General Hospital studia con Bessel Van Der Kolk professore di Psichiatria e uno dei più importanti pionieri nella ricerca e nel trattamento dello stress traumatico, cosa accade nel cervello delle persone che hanno dei flashback.
Scelsero otto partecipanti ai quali venne riproposto in modo accurato il loro trauma momento per momento; l’intento era quello di cogliere solo frammenti della loro esperienza, come immagini, suoni ed emozioni particolari, perché è questa la modalità in cui si manifesta, lo scanner poi avrebbe fotografato l’esito.
I risultati delle scansioni permisero di osservare una grande macchia rossa nella zona destra più bassa del cervello, che è l’area limbica, o cervello emotivo in particolare, l’amigdala posta al suo interno, reagiva con l’attivazione di uno stato di allarme anche al solo ricordo, nonostante fosse trascorso molto tempo.
L’aspetto più sorprendente fu però quello di osservare una macchia bianca nel lobo frontale sinistro della corteccia, nella regione chiamata area di Broca. Il cambiamento di colore indicava una disattivazione significativa di quell’area del cervello che comportava l’incapacità di tradurre in parole, pensieri ed emozioni. Le scansioni mostravano come l’area di Broca si spegnesse tutte le volte in cui era sollecitato un ricordo.
E quindi, anche a distanza di anni, il trauma si rivive, sommandosi all’incapacità di trovare un linguaggio condiviso.
La disattivazione del cervello sinistro ha infatti un impatto diretto sulle capacità di organizzare l’esperienza in sequenze logiche e di tradurre i sentimenti e le percezioni in parole. Se non si possiede tale capacità non è più possibile trovare causa ed effetto, comprendere le conseguenze a lungo termine delle proprie azioni o creare piani coerenti per il futuro.
Quando qualcosa riporta le persone traumatizzate al passato, il loro cervello destro reagisce come se l’evento traumatico stesse accadendo nel presente, e in assenza di un buon funzionamento di quello sinistro esse non si rendono conto di vivere nel presente, ma rimettono in atto il passato, divenendo così preda del terrore, della furia e della rabbia.
Ad oggi è stata rivelata una ulteriore possibilità di risposta alla minaccia, la negazione. Il corpo ne prende atto, la registra, mentre la mente consapevole procede come se nulla fosse accaduto. Eppure accade che i segnali d’allarme siano questa volta colti dal cervello emotivo che continua a lavorare, gli ormoni dello stress continuano a mandare segnali ai muscoli, perché si preparino all’azione o al collasso. Gli effetti fisici continuano senza tregua fino a manifestarsi sotto forma di malattie.
Marika A. Carolla
Leggi Anche : 10 curiosità sul cervello che (quasi) nessuno conosce



