Che cos’è la psicologia?

Una definizione comunemente accettata di psicologia è “scienza del comportamento e dei processi mentali“. Chi si approccia alla materia, fin da subito può chiedersi: che cos’ẻ la “mente”? E in che modo essa può guidare il nostro agire?
In realtà tutti abbiamo un’idea intuitiva di che cosa sia la mente: operazioni come ricordare, ragionare, immaginare appartengono all’esperienza di ognuno di noi e siamo concordi nel definirle “attività mentali”, distinte dai processi di natura fisico-chimica che riguardano il nostro corpo. Come tali, esse sono state riconosciute e analizzate dagli studiosi fin dai tempi più remoti.
Dal punto di vista etimologico la parola psicologia deriva da lógos, termine greco che significa “ragionamento” e da psiche, termine anch’esso di derivazione greca il cui significato originario è “spirito”, “soffio vitale”, ossia “anima”. Letteralmente, dunque, la psicologia sarebbe la “scienza dell’anima”.
Intesa come entità distinta dal corpo e capace di sopravvivergli dopo la morte, l’anima è da sempre l’oggetto privilegiato delle religioni, ma gli esseri umani hanno cercato fin dall’antichità di studiare l’anima senza darle una connotazione strettamente religiosa, in modo razionale.
Ciò che per molto tempo è rimasto sconosciuto e poco chiaro agli studiosi è lo stretto legame che intercorre tra i processi mentali e il loro substrato biologico, ossia il cervello. Con questo termine si indica la parte anteriore dell’encefalo, ben distinta dalle altre due componenti, che sono il tronco encefalico e il cervelletto.
Il desiderio di capire chi siamo non è nuovo. Pensatori Greci Platone e Aristotele furono i primi a confrontarsi con gli interrogativi su come funzioni la mente.
Il cervello: un organo poco considerato
Nell’antichità il cervello era tenuto in scarsa considerazione. Prevaleva infatti l’idea che il cuore fosse il centro della vita psichica: gli Egizi, ad esempio, imbalsamavano i cadaveri lasciando il cuore al suo posto, affinché il defunto potesse vivere anche nell’aldilà; viceversa, asportavano il cervello, al pari degli altri organi, ma, invece di conservarlo come facevano con il fegato o le viscere, lo scartavano.
Soltanto a partire dal XVII secolo, grazie a strumenti di osservazione più rigorosi e con la diffusione di un nuova visione di tipo scientifico, questa Prospettiva venne gradualmente superata.
Se il cervello costituisce il supporto materiale dell’attività mentale, esso tuttavia non si identifica con la mente. Tale concetto diventa più comprensibile grazie all’analogia con un tablet o un cellulare. Per funzionare hanno bisogno di un hardware, che rende possibile l’esecuzione del software.
Perché la psicologia potesse delinearsi come scienza, era necessario che l’interesse degli studiosi si spostasse, per così dire, dall’hardware al software.
I primi a operare tale mutamento di prospettiva furono i fisiologi. Nel 1826 il fisiologo tedesco Johannes Peter Müller, scoprì che un medesimo stimolo esterno è in grado di produrre nel soggetto che lo riceve sensazioni diverse, a seconda del tipo di nervo che sollecita. Tale scoperta introduceva una netta distinzione tra gli stimoli fisici e le sensazioni da essi derivanti, permettendo di studiare queste ultime come realtà a sé stanti.
Nel 1860 Gustav Fechner, fisico e matematico tedesco, provò a esprimere in termini matematici il rapporto fra l’intensità di uno stimolo fisico e quella della sensazione a esso corrispondente. Egli affermò che, se la prima cresce in progressione geometrica (in una successione di numeri rimane costante il quoziente fra un numero e quello che lo precede), la seconda cresce in progressione aritmetica (in una successione di numeri rimane costante la differenza fra un numero e quello che lo precede), cioè molto più lentamente.
Gerardina Di Massa
Leggi Anche : La psicologia oggi e l’importanza della terapia



