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La Zattera della Medusa: alle frontiere dell’esperienza umana

La Zattera della Medusa (Le Radeau de la Méduse) è un dipinto del pittore francese Théodore Géricault.
Esponente dell’arte romantica, Géricault realizza il dipinto (un olio su tela 491×716) tra il 1818 e il 1819, all’età di soli 29 anni.
Si tratta del suo primo grande lavoro, quello che darà uno slancio definitivo alla sua carriera, e che riceverà tanti commenti positivi quante feroci condanne.

L’episodio storico come soggetto dell’opera

L’opera rappresenta il momento finale del naufragio della fregata francese Méduse, quando i pochi sopravvissuti vedono una nave da lontano.
La fregata francese Méduse parte nel 1816 da Rochefort verso il porto di Saint-Louis sulle coste del Senegal, insieme ad altre tre navi (la corvetta Écho, la Loira e la Argus).
Come capitano della fregata viene nominato Hugues Duroy de Chaumareys, nonostante la sua scarsa esperienza di navigazione e la poca conoscenza che aveva di quelle acque.
Difatti, per questi motivi e per la sua negligenza, è considerato il solo responsabile di questa tragica vicenda che ha grande risonanza nella monarchia francese, al tempo recentemente restaurata dopo la sconfitta di Napoleone nel 1815.
Per ridurre sia i tempi che i costi, la Méduse aumenta la propria velocità e si allontana dalle navi compagne. Il 2 luglio si incaglia su un banco di sabbia a 160 chilometri al largo della Mauritania. Nessun tentativo per disincagliare la nave va a buon fine; dunque, il 5 luglio, circa quattrocento superstiti si dirigono verso la costa sulle sei scialuppe di salvataggio della fregata. Sei scialuppe che, però, sono costrette a lasciare fuori 147 persone per il poco spazio; esse vengono dirottate su una “zattera di fortuna” lunga 7m e larga 20m costruita con alcune travi della nave.
La zattera viene inizialmente trascinata dalle scialuppe ma dopo poco, a causa del peso degli uomini, affonda parzialmente, le funi vengono recise viene crudelmente abbandonata al proprio destino in mezzo al mare.
Perché non siano stati attivati immediatamente altri servizi di salvataggio resta un mistero, ma probabilmente l’assenza di interventi era dovuta ad una mancanza di strumenti comunicativi veloci ed efficaci in situazioni come questa (era pur sempre il XIX secolo).

Inizia la strage umana.
La prima notte muoiono venti persone.
Entro il nono giorno i superstiti disperati si danno al cannibalismo.

“Has anyone here never hungered,

Never run, never lost, never cried?”

17 luglio. Alcuni sono morti di fame, altri si sono gettati in mare in preda ad allucinazioni. 

Finalmente, ecco la scena scelta da Géricault. Arriva il battello Argus che salva i pochissimi superstiti. Altri cinque muoiono durante la notte. Solo 15 persone riescono a tornare a casa vive.

Il 13 settembre il foglio “Journal des débats” pubblica le parole di uno dei sopravvissuti, il chirurgo Henry Savigny.
Egli racconta della sofferenza vissuta personalmente, dell’agonia dei suoi compagni, del senso di sopraffazione, fame e morte.
Ancora una volta viene incolpato il comandante De Chaumaray, indiretto assassino di innocenti vite umane.

Ricerca preparatoria e stesura finale

La scelta del pittore romantico non è casuale.
Presa consapevolezza della risonanza che l’episodio del naufragio stava avendo, egli lo sceglie come soggetto del suo primo grande lavoro per stimolare l’interesse di quante più persone possibili.
Prima di realizzare il dipinto, l’artista si immerge completamente in uno studio profondo. Studia l’anatomia del corpo umano e approfondisce le tecniche della luce.
Ascolta due dei sopravvissuti, Henry Savigny e Alexandre Corréard, i quali condividono con lui la loro dolorosa esperienza, gli stati emotivi di quei tragici momenti che hanno ispirato, appunto, l’estrema tragicità del dipinto.
Continua a lavorare con i due sopravvissuti e con Lavillette, un falegname, con lo scopo di costruire un modello in scala della zattera da utilizzare nella fase finale del dipinto.
Géricault compie diversi viaggi, alcuni anche rischiosi, come quello a Le Havre per assistere a tempeste e maremoti e quello attraverso la Manica per studiare il movimento delle onde.
La dedizione del pittore si spinge oltre. Volendo rappresentare con perfetta accuratezza la rigidità cadaverica dei marinai deceduti sulla zattera, egli visita l’obitorio dell’ospedale Beaujon di Parigi per osservare da vicino il tono muscolare dei morti. Segue un episodio ancora più bizzarro: egli porta una testa umana nel suo studio, concessagli in prestito per due settimane da un manicomio, e degli arti amputati, per studiarne il processo di decomposizione ed acquisire familiarità con il disegno dei morti. 

Anche la scelta dell’episodio da rappresentare non è stata semplice. Géricault prende in considerazione diversi momenti del naufragio, come il salvataggio finale o le scene di cannibalismo.
Alla fine, sceglie proprio il momento precedente al salvataggio finale, quando i superstiti vedono una nave da lontano.

Dopo tre anni di ricerche continue, la stesura finale del dipinto inizia nel novembre del 1818 e termina nel luglio nel 1819.
Avviene nello studio di Géricault nel quartiere Faubourg du Roule di Parigi, dove egli lavora in modo quasi monastico con il suo assistente, il diciottenne Louis-Alexis Jamar.
Dormono in una stanza adiacente allo studio dell’artista ed i pasti gli vengono consegnati ogni giorno da una portinaia.
Per otto mesi Géricault non lascia il suo studio e raramente si concede una serata di riposo.
Lavora in maniera metodica, con estremo rigore, e pretende in ogni momento il silenzio più assoluto per avere la massima concentrazione.

Le ricerche dell’artista gli hanno consentito di prestare massima fedeltà all’episodio storico, ma vi sono anche dei dettagli “esagerati”, giustificati da una licenza artistica e realizzati per rinforzare il dramma emotivo, l’agonia, la tragicità.
(Esempio: il salvataggio finale è avvenuto in un giorno soleggiato e con acque calme e Géricault ha scelto invece un’atmosfera di tempesta).

Tecnica e stile

Géricault sceglie di dipingere con pennelli molto piccoli e con colori a olio molto viscosi, che si asciugavano in pochissimo tempo, dandogli la possibilità di effettuare modifiche.
La tavolozza consiste in tonalità estremamente intense, espressive, perlopiù scure. Géricault sceglie toni pallidi per rappresentare i corpi dei naufraghi e colori “fangosi” per i vestiti, il mare ed il cielo.
Il dipinto è dominato da una tonalità scura, tetra, realizzata grazie all’uso di pigmenti tendenti al marrone, in grado di evocare un sentimento di tragedia e dolore.
All’orizzonte si scorge la Argus, la nave che trarrà in salvo i superstiti. Essa è illuminata da una luce chiara che accende l’occhio dello spettatore, altrimenti perlopiù offuscato dai vari toni del marrone.
Il mare, tradizionalmente realizzato in blu scuro, stavolta è di un verde intenso, poiché il blu scuro avrebbe sminuito il contrasto con la zattera e i suoi passeggeri.
Vi è anche del bitume, che rappresenta un esperimento per l’artista, il quale decide di utilizzarlo per creare una consistenza sulla tela simile al velluto. Il bitume è una sostanza che decade rapidamente e si trasforma in una melassa nera che crea una superficie lucida che non può essere modificata o restaurata; perciò, i dettagli nelle aree più grandi del dipinto sono difficilmente individuabili mentre il resto dell’opera, che è conservato al museo Louvre di Parigi, è ancora in buono stato di conservazione. 

Rifiutando la tradizionale maniera di messa su tela di un dipinto, che prevede un lavoro globale sull’intera composizione, Géricault decide di posizionare i modelli e le figure una alla volta; la disegna, la dipinge e, soltanto dopo averla terminata, passa alla figura successiva. Tale individualismo artistico ha conferito all’opera un grande senso di teatralità e fisicità.

La Zattera della Medusa simboleggia l’inizio dell’arte romantica e getta le fondamenta per una rivoluzione estetica che vuole superare lo stile neoclassico.
Nonostante Géricault applichi degli elementi dello stile neoclassico, come il dipinto a soggetto storico e le grandi dimensioni, inserisce anche altri elementi che rappresentano una significativa trasformazione da tutto ciò che vi era precedentemente, come l’illuminazione e la forte emotività.
Ciò che colpisce è anche la mancanza di un eroe, sostituito nel dipinto da persone comuni, mosse unicamente dal loro istinto naturale di sopravvivenza.

Christine Riding, a capo del dipartimento culturale di The Art Newspaper e curatrice alla National Gallery di Londra, afferma: “Il lavoro mostra la fallacia della speranza e della sofferenza inutile, e nel peggiore dei casi, l’istinto umano basilare di sopravvivere, che aveva soppiantato tutte le considerazioni morali e gettato l’uomo civilizzato nel barbarismo”.

Marcella Cacciapuoti

Leggi anche: La zattera della Medusa: un inferno galleggiante – La Testata Magazine

Marcella Cacciapuoti

Classe 2001. Laureata in lettere moderne e studentessa di filologia moderna. Scrivo, leggo, e sogno un dottorato in linguistica. Mi chiamo Marcella e sono in continua evoluzione. Innamorata delle parole e affamata di pace. Racconto le storie degli altri per trovare la mia.
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