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La Grande Carestia che travolse l’Irlanda

Un evento in particolare ha segnato la storia dell’Irlanda, che travolse l’intera popolazione dell’isola lasciando segni profondi nella memoria delle persone e delle successive generazioni e ancora oggi è ricordato, la carestia che si abbatté dal 1845 al 1850

La grande carestia come fu presto battezzata, in gaelico chiamata An Gorta Mor o The Great famine in inglese, ebbe inizio da un’infezione che colpiva i raccolti negli Stati Uniti intorno al 1844, un anno dopo l’infezione comparve in Irlanda iniziando a danneggiare tre quarti dei raccolti. La causa era la Peronospora della patata, un agente patogeno che provoca la marcescenza dei tuberi. 

La popolazione Irlandese, che era stata caratterizzata da un forte incremento demografico, arrivando a circa 8 milioni negli anni immediatamente precedenti alla carestia, coltivava cereali e lino ma  prevalentemente patate del genere Lumper e questo favorì la diffusione dell’infezione e la distruzione di tutti i raccolti. La patata oltre che per la vendita e l’esportazione era anche l’alimento maggiormente consumato dalla popolazione, in particolare dalle fasce più umili. 

I contadini riuscivano a coltivare per il fabbisogno della famiglia e a vendere una porzione del raccolto, ciò permetteva loro di ricavare modesti guadagni, fu quindi devastante l’insorgere dell’epidemia, che sgretoló rapidamente la loro unica fonte di sostentamento. Per cinque anni i raccolti andarono persi parzialmente o totalmente, in particolare nel biennio 1846 – 1848.

La malnutrizione portò conseguentemente la comparsa di malattie come il tifo, la dissenteria, lo scorbuto e febbri alte, che decimarono la popolazione irlandese, si calcola infatti che la carestia uccise un milione di persone e costrinse altri due milioni ad emigrare per cercare condizioni di vita migliori. 

Le destinazioni scelte dagli emigranti furono in particolare gli Stati Uniti ed il Canada ma anche l’Inghilterra, e date le precarie condizioni di salute molti non sopravvissero al viaggio e le epidemie si diffusero anche nei luoghi di arrivo. 

Gli inglesi, che a quel tempo avevano il controllo dell’isola, non affrontarono la carestia e le epidemie con soluzioni efficaci, essi infatti non impedirono che le esportazioni alimentari dall’Irlanda verso l’Inghilterra si fermassero, per non inimicarsi i grandi proprietari terrieri in prevalenza inglesi. Il primo ministro Peel adottò come strategia, per alleviare la fame, quella di distribuire in mense cereali importati dagli Stati Uniti, ma gli aiuti non riuscirono a coprire il fabbisogno di tutta la popolazione, specie di quella nei villaggi più interni, numerosi furono le ribellioni e i tumulti.

Il governo inglese inoltre tentò di arginare il problema costruendo altre workhouses, case popolari che in parte già erano state costruite negli anni precedenti alla carestia, ma che ora si erano sovraffollate, la decisione quindi fu quella di edificare altre, per ospitare coloro che avevano perso o erano stati sfrattati dalle loro case. Fu creato un programma di lavori pubblici per ridurre la disoccupazione e permettere a chi era rimasto senza lavoro di guadagnare qualche soldo. 

Questi tentativi lenti e poco efficaci non riuscirono ad alleviare in alcun modo le sofferenze degli irlandesi. 

Si è calcolato che la popolazione irlandese al termine della carestia si ridusse del 30%, arrivando nei decenni successivi alla carestia a soli 4 milioni, la metà rispetto al 1840 e che la lingua gaelica, parlata in particolare nelle campagne, sia scomparsa per le morti e l’emigrazione degli irlandesi.  

Beatrice Gargiulo 

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Beatrice Gargiulo

M. Beatrice Gargiulo, studentessa di archeologia, ama l’arte, la storia e dedicare il tempo libero alla lettura.
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