Eurovision 2025 e il messaggio pro-Palestina: quando la politica invade il palco della musica

Cosa è successo durante la finale dell’Eurovision 2025?
Durante la finale dell’Eurovision Song Contest 2025, trasmessa il 17 maggio, la TV pubblica spagnola RTVE ha mandato in onda, poco prima della diretta, una schermata nera con un messaggio inequivocabile:
“Di fronte ai diritti umani, il silenzio non è una possibilità. Pace e giustizia per la Palestina.”
Il gesto, forte e simbolico, è stato subito interpretato come una presa di posizione chiara nel contesto del conflitto israelo-palestinese. Una scelta che ha sollevato reazioni contrastanti e riacceso il dibattito sul ruolo della politica nei grandi eventi artistici e culturali.
Le regole dell’Eurovision e la neutralità politica
L’Unione Europea di Radiodiffusione (UER), che organizza l’Eurovision, impone un principio fondamentale: la neutralità politica. Il regolamento vieta esplicitamente l’inserimento di messaggi politici, religiosi o ideologici durante le esibizioni e le trasmissioni legate al concorso.
L’obiettivo? Mantenere l’Eurovision come uno spazio inclusivo, dove la musica unisce e non divide, indipendentemente dalle tensioni geopolitiche tra i Paesi partecipanti.
Perché questo gesto fa discutere
Il messaggio di RTVE, come quello simile della televisione belga VRT, è arrivato in un momento delicatissimo. Dopo settimane di polemiche per la presenza di Israele in gara (nonostante l’esclusione della Russia nel 2022 per l’invasione dell’Ucraina), il gesto della tv spagnola ha rotto il silenzio, ma anche la regola.
È legittimo chiedersi: esprimere solidarietà per i diritti umani può giustificare la violazione della neutralità?
O, al contrario, bisogna preservare luoghi in cui l’arte possa continuare a essere espressione libera e non campo di battaglia ideologica?
Non ogni palco è il palco giusto
Non si discute l’importanza di difendere i diritti umani. Ma portare questi temi dentro uno show musicale internazionale rischia di strumentalizzare l’arte e polarizzare il pubblico.
L’Eurovision non è (o non dovrebbe essere) il luogo in cui i broadcaster prendono posizione politica. Se ogni Paese usasse questo spazio come megafono per i propri messaggi, verrebbe meno lo spirito stesso dell’evento.
La sensibilità verso certe cause è più che comprensibile. Ma proprio perché sono cause serie e complesse, meritano spazi di confronto più adeguati e coerenti, non una finestra di pochi secondi prima di una performance.
Per concludere la musica può essere veicolo di valori, ma non può diventare ostaggio delle agende politiche. Se ogni palco diventa un pretesto per lanciare messaggi ideologici, si snatura il senso stesso di eventi come l’Eurovision: un momento di unione, non di fazione. Serve coraggio per difendere i diritti umani, ma anche per rispettare le regole e riconoscere che non tutti i contesti sono adatti a ogni battaglia.
Arianna D’Angelo
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