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Camminare verso Santiago non è così difficile

Qualche settimana fa, ero in cammino per raggiungere Santiago. Oggi, eccomi qui.

Ci pensavo da anni, “Ah, come mi piacerebbe farlo!”, “Eh, ma serve tempo”, “Poi bisogna essere allenati”. Finché un giorno, una mia amica mi ha detto che aveva parlato con una sua amica, che aveva parlato con altri amici, che avevano scelto una settimana e prenotato l’aereo.

E non ci si prepara? Basta una settimana? Cosa si porta? Da dove si parte? Ma quanta strada si fa? E siamo sicuri non sia troppo?

Molte domande, tanti “mi hanno detto che”, pagine internet e blog da consultare, liste di attrezzatura che invece di diminuire continuavano ad aumentare: zaino e scarponi, e calzini, e cappello, e sacco a pelo, e i cambi, e mica possiamo dimenticare qualcosa, e cerotti, molti cerotti e vasellina – ah, sì! che serve anche quella – e nello zaino non ci entra più niente. E allora più niente, e tutto in spalla.

Adrenalina. Si parte.

Si arriva.

Ho scoperto che di cammini che portano a Santiago ne esistono tanti, più lunghi e più brevi, e per farli interi a volte serve un mese e mezzo, altre volte basta una settimana. Ho scoperto che ci sono percorsi che attraversano le montagne e altri che fanno navigare sull’oceano e che ci sono persone che per fare un cammino ci possono impiegare anche sette anni, perché ogni anno fanno un centinaio di chilometri e alcune tappe, e altri che, invece, fanno un cammino diverso all’anno.

Ho scoperto che non è facile svegliarsi alle 5 di mattina e infatti non ci sono mai riuscita, ma che è bello partire con il fresco e vedere l’alba, anche se me l’hanno solo raccontato. Ho scoperto che la fatica si sente, in un mese o in sei giorni, e che per alcuni ero una “turistina”, una dei turisti pellegrini, quelli che arrivano a Santiago presto e senza aver penato abbastanza.

Turistina che io sia, ho scoperto che si può penare anche in sei giorni, che le ginocchia non sopportano tutte le discese, che ci sono ossa a cui piace cambiare, come alle scale di Harry Potter, e che le racchette da trekking non sono così facili da usare, e non vanno portate in aereo, a meno che non si imbarchi il bagaglio.

Ho visto una nebbia talmente fitta da bagnarmi la faccia e il sole caldo che sbucava tra i rami, distese sterminate piene di girasoli e paesini tanto piccoli da avere più pollai che case. Mi sono stesa a terra e ho sporcato tutti i vestiti. Ho urlato canzoni stonando e mi sono fermata a recuperare fiato alla fine di una salita, a volte all’inizio e altre anche durante. Ho salutato persone che camminavano vicino a me e ho sorriso, superando chi mi avrebbe superato poco dopo. Ho augurato “Buen camino”, perché così si fa, e ascoltato le storie di chi, secondo il proprio ortopedico, sarebbe dovuto stare a riposo, e invece camminava per 20 km al giorno.

Ho spiato le vite degli altri, immaginando per ognuno storie diverse.

Ho scoperto che siamo tutti pellegrini e che ognuno cammina a modo suo, che c’è chi è bravo a camminare da solo e chi preferisce andare avanti in compagnia, chi lo fa con gli occhi bassi per non inciampare e chi guarda avanti e riesce comunque a rimanere in equilibrio, chi porta due zaini e chi non ne porta nessuno, chi sa già dove arriverà e chi, per essere sicuro, aspetta di arrivare, chi tira dritto e chi non sa che direzione prendere, chi si dirige verso Santiago e chi no.

Lungo il cammino non avrò scoperto niente di nuovo né trovato me stessa, ma ho trovato tanti altri diversi da me e questo mi è bastato.

Stefania Malerba

Leggi anche: Il cammino di Santiago: perché farlo?

Stefania Malerba

Sono Stefania e ho poche altre certezze. Mi piace l’aria che si respira al mare, il vento sulla faccia, perdermi in strade conosciute e cambiare spesso idea. Nel tempo libero imbratto fogli di carta, con parole e macchie variopinte, e guardo molto il cielo.
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