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Scuola e fascismo: soldati o discenti?

Dittatura, propaganda e obbligo. Se dovessi descrivere il fascismo, queste sarebbero le prime parole che direi.

Per riuscire a mantenere il clima di servilismo del popolo bisognava partire dall’inizio. Da dove? Dalla scuola!

Il sistema scolastico, improntato oggi su accettazione e apertura, si poneva all’epoca con un atteggiamento di chiusura totale per costruire la coscienza nazionale più solida possibile.

Fu proprio la Pedagogia nazionalista a tramandare tale idea. Essa mirava all’esaltazione della tradizione contro le differenze presenti in Italia.

Vediamo nel dettaglio la scuola ai tempi del duce.

Benito Mussolini, nel 1925, diede il via libera al fascismo in Italia. 

Da quel momento instaura un regime totalitario che lascia pochissimo spazio alla libertà.

I partiti oppositori sparirono e quello fascista divenne l’unico in Italia che, con le leggi fascistissime, nel 1926, riorganizzò il governo del paese. 

Ma queste informazioni le trovate sui libri di storia.

I giovani, durante il regime di Mussolini, erano istruiti, fin dall’infanzia, per diventare membri del fascismo.

Già a 4 anni i bambini indossavano le camicie nere, poi diventavano balilla e avanguardisti.

Per le donne il percorso era diverso. Prima “Figlie della lupa”, poi piccole e giovani italiane. Lo scopo finale era quello di diventare mogli e madri esemplari.

Il mito dell’estetica, ripreso dagli antichi romani, era fondamentale nel regime. Ognuno doveva svolgere attività fisica ed avere un corpo asciutto e, a questo proposito, fu istituito il sabato fascista dedicato proprio alle attività sportive.

A scuola fu aumentata l’età obbligatoria a 14 anni e aggiunte molte più ore di ginnastica. 

Gli insegnanti, per poter continuare ad esercitare, dovevano essere tesserati, ovvero ricevere la scheda del partito.

Insomma, se ti professavi contro il regime perdevi anche il lavoro.

Le materie rimanevano invariate, ma i bambini sembravano più soldatini che discenti. 

La storia era concentrata sulla figura del duce, si effettuava solo il saluto romano e non mancavano le marce, proprio come veri militari.

Ovviamente c’era una propaganda falsa riguardo le invasioni, soprattutto quelle in Africa, dove veniva riferito che i fascisti avessero liberato le popolazioni autoctone. 

Insomma, un vero e proprio lavaggio del cervello.

Una riforma importante si ebbe nel 1923 da Giovanni Gentile, Ministro della pubblica istruzione. Essenziale divennero le materie umanistiche e il Liceo classico acquistava importanza. Inoltre con essa si inserirono gli esami per passare da un grado all’altro, nuova istruzione universitaria e gli insegnanti in stretto rapporto con gli alunni.

Ovviamente l’insegnamento della religione Cattolica era d’obbligo. Ogni bambino veniva indottrinato fin da piccolo e questa pratica doveva necessariamente continuare anche a casa.

Come da prassi nel fascismo, le minoranze linguistiche non contavano nulla e, anzi, dovevano imparare l’italiano, unica lingua parlata e scritta.

Tirando le somme, la scuola nel periodo fascista era, da un lato concentrata sull’abbattimento dell’analfabetismo, dall’altro imponeva il modo in cui vivere.

Fin da piccoli, gli alunni erano abituati ad indossare, pensare ed agire come fascisti. Da vero e proprio gregge di pecore, gli italiani crebbero senza libertà alcuna, obbligati e indottrinati dal regime.

Fortunatamente le cose oggi sono diverse. Il sistema scolastico si pone in maniera aperta verso i discenti accompagnandoli nel percorso di formazione.

Obiettivo del fascismo, quindi, era generare discenti o soldati?

Martina Maiorano

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Martina Maiorano

Ciao! Sono Martina Maiorano, classe 1996. Fin da piccola ho avuto due grandi passioni: i libri e il beauty. Frequento Lettere Moderne all’Universitá Federico II e da poco sono entrata nel team de La Testata, pronta ad accettare nuove sfide!
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