SocialePrimo Piano

Storie di ordinaria violenza – Ferite aperte

In Italia, il 31,5% delle donne tra i 16 e 70 anni ha subito una qualche forma di violenza fisica o verbale, il 70% ha dichiarato di aver subito molestie o avances sessuali in luoghi pubblici, il 64% si è sentito a disagio per commenti inopportuni da parte di un adulto di riferimento…

Dobbiamo continuare? Il tema della violenza sulle donne e del gap di genere è all’ordine del giorno, tra Giornate internazionali e campagne di sensibilizzazione, eppure i risultati delle indagini non accennano a migliorare.

Al contrario, le stime sono fin troppo lusinghiere: non conosco donna che non abbia vissuto un episodio di molestia almeno una volta nella sua vita.

 “Quante volte hai subito violenza e/o molestia? Quante volte ti sei sentita offesa e sopraffatta solo perché donna?”

Sapreste rispondere con un numero preciso? 

Io no. Due, cinque, dieci? Se riavvolgo il nastro dei ricordi, riaffiorano anche episodi che avevo rimosso e il conteggio supera le dita delle mani.

Penso, ad esempio, a tutte le volte in cui sono stata palpeggiata – in un locale, per strada, sui mezzi pubblici – da presunti “amici” o sconosciuti. “Suvvia, sono gesti goliardici”: non ho mai capito cosa ci fosse di goliardico. È divertente allungare le mani sul corpo di una PERSONA (non di un oggetto) su cui non si ha diritto alcuno? 

Disgusto, rabbia, impotenza: i sentimenti che mi assalgono ogni volta. E anche senso di colpa, perché forse la gonna è troppo corta o forse ho avuto un atteggiamento equivoco. È ciò che una malata società machista ci ha abituate a pensare, come se l’uomo fosse un animale irrazionale incapace di resistere alla tentazioni e noi, invece, carne da macello con la responsabilità di difenderci dai “giustificati” attacchi.

Se vi potrà sembrare un discorso anacronistico, vi assicuro purtroppo che questo becero modus pensandi è ancora radicato. 

Ma l’errore non è il mio, il nostro, è di chi compie e giustifica gesti del genere considerandoli normali.

 Che io indossassi un banale jeans o che mostrassi distacco e contrarietà, ciò non è mai servito a proteggermi da toccate indesiderate. E, peggio ancora, mi sono accorta che queste “bravate” sono agli occhi dei “maschi tossici” rivendicazioni di virilità e di forza nei confronti delle donne e degli altri componenti del “branco”.

Alle molestie fisiche sommiamo pure quelle verbali: epiteti ingiuriosi, catcalling, allusioni sessuali e apprezzamenti spinti non richiesti.

Vi racconto un paio di spiacevoli eventi tra i tanti (ahimè) che mi sono accaduti. 

  1. Sono le 22 e 30 circa di una tranquilla domenica sera e sto tornando a casa a piedi. Mentre sono immersa nei miei pensieri, sento una voce maschile chiamarmi insistentemente: «bambolina, ehi bella, tesoro». Campanellino d’allarme. Ok. Respira. Ignoralo e si arrenderà. 

E invece non si arrende, mi insegue invitandomi a salire nella sua macchina. 

Panico, terrore. 

Cosa faccio? Chiamo qualcuno cercando aiuto, ma nessuno è abbastanza vicino da arrivare in tempo. E allora non mi resta che scappare, correre più veloce di Flash e sperare che desista. 

Sono arrivata, sono salva. 

  1. Io e la mia coinquilina stiamo rientrando dopo un‘uscita tra amiche. Due ragazzi in sella a uno scooter ci ronzano intorno come vespe fastidiose.  Con passo celere ci incamminiamo verso la nostra abitazione. Il motorino ci insegue. 

Dobbiamo solo varcare la soglia di casa e sarà tutto finito; ma la chiave non entra, il portone non si apre e intanto i due scendono dal mezzo e si avvicinano pronunciando volgarità.

 Le gambe tremano e il respiro si affanna. 

Uno scatto: il portone finalmente si apre e siamo al sicuro. 

I due prendono a pugni lo “scudo” di acciaio che ci separa e protegge, urlandoci contro parole sprezzanti. Tiriamo un sospiro di sollievo e sgattaioliamo verso il nostro appartamento. 

Un pensiero fisso, però, turba la quiete del nostro sonno: cosa sarebbe successo se solo il portone si fosse aperto qualche secondo dopo?

“Perché non sono libera di camminare per strada da sola senza il rischio che si avvicinino malintenzionati?”: quante volte ce lo siamo chieste mentre acceleravamo il passo pregando di arrivare alla meta il prima possibile e indenni. 

È un incubo quotidiano che lede e limita la nostra autonomia e indipendenza. Ed è solo uno dei tanti che siamo costrette a subire nell’indifferenza e arroganza di chi minimizza queste situazioni.

Vogliamo parlare poi delle molestie e delle discriminazioni sul luogo di lavoro? Potremmo aprire tanti capitoli su questo e altri argomenti affini, poiché purtroppo c’è ancora tanto da dire. 

Il nocciolo della questione è che nulla di tutto ciò dovrebbe essere normalizzato. Non possiamo e non dobbiamo accettare violenze, abusi e bias di genere

Veniamo umiliate anche ogni qual volta provano a incasellarci in rigidi stereotipi che, in quanto donne, ci vorrebbero obbligatoriamente “angeli del focolare”, madri e mogli deboli e indifese, incapaci di svolgere attività tipicamente considerate maschili.

Ma noi siamo libere di essere come più ci aggrada e non dobbiamo rispondere alle aspettative di nessuno. 

(E questo, sia chiaro, vale per chiunque: donne, uomini, etero, omosessuali, transgender e chicchessia).

La società si evolve, no? Dovrebbe.. o almeno è questa la speranza. 

Dai moti del ’68 sono stati compiuti tanti progressi, ma il cammino è ancora lungo e tortuoso. 

Nel 2013, con la Convenzione di Istanbul, si è tentato di fornire un quadro normativo internazionale completo contro ogni tipo di violenza di genere, riconoscendo che “la violenza nei confronti delle donne è una violazione dei diritti umani”.

Tuttavia, se usciamo dai confini nazionali (pensiamo all’Iran o all’Afghanistan), ci troviamo davanti a una strada dissestata.

Siamo stanche. Stanche di vessazioni, prevaricazioni e stereotipi

La questione di genere è una ferita ancora aperta, non prendiamoci in giro fingendo il contrario. 

Diritti, rispetto, parità: un trittico di belle parole lasciate al vento.

Giusy D’Elia

Leggi anche: Quando la violenza di genere entra nelle quattro mura di casa

Giusy D'Elia

Disordinata, ansiosa, testarda, logorroica… ma ho anche dei difetti. I pregi scoprili leggendo i miei articoli! Sono Giusy D’Elia, classe 1997. Studio Filologia moderna perché credo nel valore della cultura umanistica. Ho un mondo dentro che ha paura di uscire, ma La Testata mi sta aiutando a farlo esplodere! Sono la responsabile di Tiktok.
Back to top button