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Lo Strangolatore di Boston è un caso ancora aperto

Il 17 Marzo scorso è sbarcato su Disney Plus il film Lo strangolatore di Boston, che racconta la storia del serial killer che ha terrorizzato l’America negli anni 60. 

La trama si concentra su Loretta McLaughlin e Jean Cole, due giornaliste del Record American, note per aver fatto luce per prime su questo mistero. Il film è diretto da Matt Ruskin ed interpretato dalle validissime Keira Knightley e Carrie Coon. La pellicola è tristemente ispirata alla realtà. Ma come è iniziato tutto? 

Siamo a Boston, anno 1962. Una donna sulla cinquantina viene trovata morta in casa sua, strangolata con un fiocco attorno alla gola. Un omicidio di certo strano, ma non allarmante. Se non fosse per ciò che avvenne qualche giorno dopo, quando un’altra donna anziana venne trovata senza vita, sempre a Boston e nelle medesime condizioni. La carneficina, purtroppo, è solo all’inizio. Con il passare dei giorni, tantissime altre donne verranno strangolate nel luogo considerato più sicuro, casa propria. Boston e i suoi dintorni cadono nel terrore. Si inizia a capire che, probabilmente, c’è un filo conduttore che lega tutti gli omicidi.

Il modus operandi è sempre lo stesso: le donne vengono ingannate da qualcuno, presumibilmente un uomo, che si presenta alla loro porta dicendo di essere un tecnico e di dover svolgere alcuni lavori. Una volta entrato in casa, il killer le aggredisce fisicamente e le strangola. 

I giornalisti, tra cui figurano in prima linea proprio le coraggiose Loretta McLaughlin e Jean Cole, iniziano a delineare l’identikit dello “Strangolatore di Boston”, che continuerà a mietere vittime fino al 1964. Eppure, ad un certo punto, arriva inaspettatamente una confessione. Un certo Albert DeSalvo, già accusato di stupro, confessa di essere proprio il terribile serial killer. La sua confessione è estremamente precisa e piena di particolari, al limite dell’artefatto. Molti, però, sono scettici e non credono a questa semplice risoluzione del caso.

Andando più a fondo, infatti, venne ipotizzato che Albert DeSalvo fosse in realtà solo una pedina, alla mercé di un gioco più grande. Insieme ad alcuni suoi compagni di cella (anche loro collegati successivamente agli omicidi) avrebbe infatti deciso di confessare gli omicidi, al fine di diventare famoso. In questo modo, avrebbe avuto la possibilità di scrivere un libro su questa storia e guadagnarne molti soldi.

Lo scetticismo nei confronti dell’effettiva colpevolezza di DeSalvo è dovuto a diversi fattori. In primo luogo, l’uomo ha fornito dei dettagli sicuramente precisi, ma con molte incongruenze. Inoltre, diversi testimoni non lo hanno riconosciuto nelle sembianze dello Strangolatore. Eppure, un fondo di verità effettivamente c’è: Albert DeSalvo era conosciuto proprio perché era solito presentarsi a casa di alcune giovani donne, dicendo di essere un talent scout di modelle, oppure un tecnico, al fine di violentarle. La chiave del caso si trova proprio nel fatto che il target di DeSalvo erano le ragazze giovani. La maggior parte delle vittime però, ad esclusione delle ultime, erano donne anziane. Ciò portò gli inquirenti e l’opinione pubblica ad ipotizzare l’esistenza di diversi assassini, che avrebbero agito seguendo un filo conduttore comune e spacciandosi per il celebre serial killer. 

Purtroppo, non sono state raccolte abbastanza prove per incriminare gli effettivi colpevoli dei delitti, ad esclusione dell’ultimo, avvenuto nel 1964. Ma come è stato possibile? Nel 2013, grazie all’avanzamento delle tecniche investigative, è stato prelevato del DNA dal corpo di Mary Sullivan, l’ultima vittima dello Strangolatore di Boston. Le analisi hanno collegato con assoluta certezza Albert DeSalvo all’omicidio. Non è stato possibile incriminarlo, poiché è deceduto in carcere nel 1973. Tuttavia, pur con molti anni di ritardo, almeno ad una delle vittime è stata concessa la verità che meritava. Tutte le altre decine di vittime rimangono purtroppo ancora senza giustizia. Il mistero è ancora aperto, prestandosi ad infinite ipotesi e teorie. Chissà se la verità verrà fuori, prima o poi.

Stefania Berdei

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Stefania Berdei

Classe 2000, scrivo di tutto ciò che solletica la mia fantasia. Studio Mediazione linguistica e culturale, poiché penso che la diversità e la ricchezza culturale siano il motore del mondo. In attesa di un ritiro spirituale su un’isola tropicale, cerco di essere ogni giorno la versione migliore di me stessa. Nel resto del tempo, mi nutro di serie televisive, film e libri.
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