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Dadizioni – ripetizioni ai tempi della DaD: Igino Tarchetti

Oggi vi presentiamo Igino Tarchetti, scrittore e giornalista, massimo esponente della scapigliatura

Tarchetti nacque a San Salvatore Monferrato nel 1839. Compì studi classici e nel 1861 entrò nell’esercito sabaudo, mostrando fin da subito avversione per la vita militare. Lo scrittore fu colpito dalla tisi e, nella speranza di poter guarire, intraprese una serie di viaggi: Como, Milano, Alessandria, San Salvatore, Torino. 

Il suo primo racconto Un personaggio nel secolo XIX fu pubblicato nel 1863  nel quotidiano Il Lombardo. In questo scritto abbiamo uno scorcio della letteratura scapigliata, infatti è forte l’illusione che l’autore vive nel contrasto tra ideale e reale. 

Per la vita artistica dello scrittore fu determinante la città di Milano, in particolar modo il salotto di Clara Maffei, dove si avvicinò all’ambiente della Scapigliatura.  

Il 1867 fu un anno prolifero dove si dedicò molto ai suoi lavori letterari: oltre a dirigere il periodico Palestra musicale, pubblicò il racconto Amore nell’arte.  Lungo il corso di quest’anno pubblicò anche Le leggende del castello nero, il dittico di sonetti RetrospettiveMemento!, dove emergono le caratteristiche letterarie dello scrittore, come quella per l’orrido, il bizzarro e l’ironico, ma anche il binomio amore-morte. 

L’autore morì a Milano nel 1869. 

Due incontri fondamentali per l’artista furono quelli con Clara – nel 1864 a Milano – e – nel 1865 a Parma – con una giovane affetta da disturbi nervosi di nome Carolina o Angiolina. Entrambe le figure confluirono nella sua opera più importante Fosca. 

Storia di un amore malato, dove si racconta – per la prima volta – una donna afflitta da nevrosi.   

Più che l’analisi d’un affetto, più che il racconto di una passione d’amore, io faccio forse qui la diagnosi di una malattia. – Quell’amore io non l’ho sentito, l’ho subito. […] Sento nondimeno che qualche cosa si è guastato nella mia testa: io non ho più cognizione di tempo, non ho più ordine nelle mie idee, non ho più lucidità nelle mie memorie […]. Non so più pensare, non so più fermarmi lungamente sopra un’idea, non vedo più linee che separano il vero dal paradossale. Tutto mi sembra ora logico, naturale, possibile. Tutti i miei pensieri si urtano, si confondono, si perdono in un vortice che turbina incessantemente nella mia testa. È là che tutto va a finire. Sento che la coscienza di me si è confusa . 

Pag. 6 

Il protagonista, Giorgio, è un giovane militare che non gode di buona salute e, durante un attacco della sua malattia, conosce Clara, una donna-angelo, bellissima e dolcissima che, seppur sposata, si innamora di lui. I due vivono un’idilliaca storia d’amore spezzata dal trasferimento del militare in un paesino.  

In quell’abisso di felicità, in quell’ebbrezza che s’era impossessata delle nostre anime, io mi era quasi dimenticato di me stesso. Non erano che due mesi che ci amavamo, allorché ricevetti dal comandante del mio reggimento un ordine così concepito: “Siete stato richiamato in attività, e per un riguardo allo stato cagionevole della vostra salute, applicato allo stato maggiore del quarto dipartimento. È necessario che raggiungiate fra dieci giorni la vostra destinazione”.  Rimasi come colpito dalla folgore.

Pag. 17 

Giorgio incontrò, però, l’esatto contrario di Clara, una donna preda di isterie, fisse e ossessioni: Fosca. Il giovane inizia ad essere intrappolato in questa relazione da cui non riesce a separarsi, Fosca pretende l’amore di lui, Giorgio non riesce a negarglielo, ammalandosi a sua volta.  

Quattro ore! Erano passate quattro ore! Levai gli occhi in volto a  Fosca e vi lessi lo stesso pensiero. Feci un moto come per ritrarmi; essa  mi afferrò, mi strinse, e con un accento intraducibile d’affanno mormorò alle mie orecchie queste terribili parole: — Sii mio! Sii mio! Una nebbia mi oscurò l’intelletto, e non ebbi forza di resistere.  

Ciò che avvenne dopo è cosí spaventoso che la mia mente ne rifugge inorridita. Due lunghe ore di spasimi, di grida, di ritrosie ispirate dal ribrezzo, hanno spezzato la mia natura, hanno sfasciato l’edifizio delle mie memorie e inaridito l’ultima sorgente delle mie speranze…

Pag. 124 

Fosca è un romanzo che rompe gli schemi, dove convergono tematiche molto forti con un linguaggio chiaro e sconvolgente. Le due protagoniste riassumono i binomi luce-ombra, chiaro-scuro, amore-morte. Tarchetti riesce a scavare in profondità l’animo umano facendo emergere l’ambiguità e la profondità dei rapporti umani. 

Io non so cosa avvenisse di me in quell’istante. Il mio respiro si arrestò, le mie vene parvero scoppiare, il mio cuore schiantarsi; una tenebra mi passò davanti agli occhi, i miei muscoli si contrassero con uno spasimo atroce, brancicai un momento come per afferrarmi a qualche cosa, proruppi in un urlo acuto, disperato, straziante, quale non aveva mai inteso uscire da petto umano, se non forse da quello di Fosca, e caddi fra le braccia del dottore che era corso in mio aiuto.  Quella infermità terribile per cui aveva provato tanto orrore mi aveva colto in quell’istante; la malattia di Fosca si era trasfusa in me: io aveva conseguito in quel momento la triste eredità del mio fallo e del mio amore.

Pag. 126 

Federica Auricchio 

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Federica Auricchio

Sono Federica Auricchio e mi definisco Napoletana dalla nascita, perché nel mio sangue ribollono la musica, la poesia, la bellezza, il comunismo e la felicità. Filologa da un paio di anni combatto le discriminazioni sociali con il sorriso e la penna, amo seminare in campi incolti perché è bello, poi, veder germogliare fiori rari.

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