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La Badessa di Castro, il capolavoro poco noto di Stendhal

Stendhal, pseudonimo di Marie -Henri Beyle, è noto in tutto il mondo. Le sue opere più famose sono senza dubbio Il rosso e il nero e La Certosa di Parma ma i suoi lettori più affezionati sapranno che tra i suoi capolavori vanno annoverati anche Armance e La Badessa di
Castro
.


Quest’ultimo, in particolare, è un piccolo gioiellino poco noto al grande
pubblico.


Ricordo ancora la prima volta che approcciai a questo romanzo: avevo dodici anni e lo trovai estremamente noioso, per non dire melenso. La storia tra Elena di Campireali e Giulio Branciforte mi sembrava troppo
stucchevole e tragica.


Anche qui, come nelle sue altre opere, Stendhal utilizza l’artificio del
manoscritto ritrovato di cui lui si fa unicamente traduttore e riporta la storia tra due giovani amanti finiti tragicamente.


No, niente a che vedere con Romeo e Giulietta. Elena e Giulio patiscono
ancora più pene dei due tragici eroi shakesperiani.
La storia è ambientata nel XVI secolo, nel basso Lazio e vede come
protagonisti la diciassettenne Elena, di buona famiglia e il ventiduenne Giulio, figlio di un brigante.


L’amore che sboccia tra i due viene però osteggiato dalla famiglia di lei.
Fin qui nulla di eclatante: una trama molto classica, da quello che oggi
verrebbe definito addirittura un romanzo rosa. Ed è per questo che presi il libro e lo accantonai.


Dopo dodici anni, spinta anche dalla curiosità visto che avevo appena finito la lettura de Il rosso e il nero, ho recuperato il romanzo dalla libreria e l’ho letto due volte. Di seguito. Perché, a mio parere, fra tutti è il romanzo più bello di Stendhal.


L’autore non si allontana dal suo stile: mantiene una certa distanza dai suoi
personaggi, si limita ad essere una mera voce narrante della vicenda ma la forza delle passioni, il pathos che permea tutto il romanzo è tale da restarne quasi soffocati. Non si riescono a staccare gli occhi dalle pagine perché si vuole sapere cosa succede. L’amore tra Elena e Giulio non è romantico, non è dolce e buono.

È devastante, distruttivo: distruggono chi gli sta intorno e distruggono loro
stessi. Si amano ma non possono. Si amano ma si feriscono. Si fuggono, si
tradiscono ma non si dimenticano. Giulio parte per un’imboscata, viene creduto morto. Elena viene chiusa in convento, diventa badessa, ha un relazione col vescovo di Castro dal quale ha un bambino. Passano gli anni e tutto cambia ma nulla muta. I due, per quanto lontani, si amano ancora.


La relazione di Elena col vescovo viene scoperta e i due vengono processati e torturati dall’Inquisizione, condannati al carcere a vita: lei viene rinchiusa nel monastero di Santa Marta. Le cose sembrerebbero non poter andare peggio: Elena ha perso l’amore della sua vita e la sua libertà.


Ma qui Stendhal ci da il colpo di grazia, per così dire, e ci fa sapere che in
realtà Giulio è vivo e sta cercando Elena. Elena, dal canto suo, logorata dai sensi di colpa, decide di lasciare questa vita colpendosi al cuore con un colpo di daga, non prima di aver scritto una delle lettere d’amore più belle e toccanti della letteratura tutta: «Non dubito di te, Giulio mio: se me ne vado, è perché morirei di dolore tra le tue braccia vedendo quale sarebbe la mia felicità se non avessi commesso una colpa. Non credere che io abbia amato un altro al mondo dopo di te. […] Vivi, e conserva memoria di Ranuccio, ucciso ai Ciampi, e di Elena, che per non vedere un rimprovero nei tuoi occhi, è morta a Santa Marta».


E con queste parole si conclude uno dei romanzi più belli della letteratura
francese. Niente lieto fine. Solo tanta tristezza, solo tanto amore.

Maria Rosaria Corsino

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Maria Rosaria Corsino

Maria Rosaria Corsino nasce a Napoli il 26 Dicembre 1995 sotto il segno del Capricorno. Laureata in Lettere Moderne, si accinge a diventare filologa. Forse. Redattrice per “La Testata”,capo della sezione di grafica. Amante della letteratura, della musica, dell’arte tutta e del caffè.
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