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Guava Island : Stephen e Donald Glover protestano in musica

La famiglia Glover ci ha ormai abituato ad un poker di talenti incontenibili: Donald Glover, cantante, sceneggiatore e attore, altri non è che Childish Gambino, una delle icone culturali più influenti del decennio.

Suo fratello Stephen, appena trentenne, è la brillante penna dietro moltissimi episodi della serie Atlanta.

I fratelli Glover hanno unito le loro forze per creare un film unico: Guava Island.

Distribuito a sorpresa su Amazon Prime l’11 aprile 2019, Guava Island è un film che ha assemblato elementi lontani e vicini nel genere e nell’arte per creare una miscela esplosiva, diversa, potente.

Perché qui siamo davanti ad artisti veri, il cui intento è tanto creare bellezza, godibilità e goliardia quanto scuotere l’animo sopito dell’uomo moderno. Dopotutto, non possiamo certo dimenticare che i temi centrali di serie TV rivoluzionarie e rivelatrici come Atlanta e di singoli dal potente messaggio socio-culturale come This is America sono la corruzione del potere americano e la capillare critica ad un capitalismo smodato, apparentemente incosciente dei propri limiti.

Guava Island è uscito poco più di un anno fa, quando era inimmaginabile anche solo ipotizzare una pandemia globale, un lockdown forzato di svariati mesi, una crisi economica; quando “Black Lives Matter” non era ancora l’# più diffuso su Instagram e la Oscasio-Cortez non era stata pubblicamente etichettata come “fottuta puttana” da Ted Yoho.

Tuttavia, la favola del musicista Demi Maroon (Childish Gambino), che vive nel paradiso tropicale di Guava Island con la splendida fidanzata Kofi Novia (nientepopodimeno che Rihanna), per poi lentamente trovarsi relegato in un incubo senza via d’uscita è una vicenda che andrebbe riportata all’attenzione del pubblico in questo clima culturale post-apocalittico.

La metafora del paradiso caraibico che si rivela in realtà essere una trappola sociale, e culturale, un’isola splendida il cui cuore è profondamente marcio perché corrotto dai peggiori mali: la droga, lo sfruttamento, il capitalismo, il totale abbandono di qualsiasi rispetto per la vita e la dignità umana.

La figura del “cattivo”, il dispotico magnate Red Cargo, è la personificazione di tutto ciò che piaga l’economia del mondo moderno, fagocitando al suo interno ogni possibilità di riscatto da parte di quelle classi lavoratrici che sperano in libertà, equità e fratellanza. La violenza e la bellezza della musica scritta ed eseguita da Donald Glover e Rihanna rappresenta il perfetto contrappeso al mondo oscuro e claustrofobico creato dalla rete di traffici e schiavi tenuti in una morsa inespugnabile da Cargo.

La giovane coppia di futuri genitori, innamorati della vita e delle sue possibilità, emblemi del potere fortissimo ed innegabile delle idee, ci proietta nel mondo degli ideali e delle speranze, un mondo in cui trionfa la purezza e la volontà del sogno al di sopra di qualsiasi bruttura, stortura o repulsività del proprio contesto politico, sociale ed economico. C’è chi ha bollato il film – curato dall’occhio vivace e dal carisma immaginativo del regista Hiro Murai – come semplicistico, utopico, moraleggiante. Invece è una riflessione profonda ma chiara della grande barbarie che stiamo subendo come specie per mano dei nostri simili, una grande dissertazione – seppur musicata – del grande difetto del potere, ovvero di credersi infinito.

Il festival musicale come manifestazione della protesta, come celebrazione della vita e della sua varietà, ci riporta a tempi passati, tempi in cui la musica era controcultura e mezzo di riappropriazione sociale e culturale. La musica vissuta da Gambino è il recupero della sua dimensione politica, strumento di comunicazione di massa e rivolta invece che l’arte fine a se stessa, slegata in toto dalla concretezza o ancora intesa come critica, ma di nicchia, una valvola di sfogo per frustrazione ed alienazione senza l’ambizione di migliorare il mondo.

Il ritorno a questa funzione concreta dell’arte è il valore intero di questa pellicola, oltre alle sue solide, commoventi interpretazioni ed il suo finale sorprendente, tragico, inimmaginabile. Insomma, in tempi come questi è imperativo cercare la bellezza e la qualità, il messaggio di speranza e amore nascosto ovunque. Donald e Stephen vogliono darcene molti, senza centellinarli, sfornando arte politica, sociale e culturale ovunque.

Sveva Di Palma

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Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.

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