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Cleopatra, il fascino di una donna al potere

Nell’ultima manciata di secoli, non si riesce a trovare evento più drammatico, più significativo e più morbosamente sensuale della morte di Cleopatra.

Una donna di un carisma e di un fascino tale da ammaliare due degli uomini più potenti del mondo: Giulio Cesare e Marco Antonio, con il quale si suicida intorno al 24 a.C., quand’è ormai certa di aver perso la sua guerra per il potere.

Da allora, la leggenda è stata più grande della storia: dell’aspide da cui si sarebbe fatta mordere (il seno, tra tutti i punti possibili!) non si ha, in realtà, alcuna testimonianza, ma è dal Cinquecento che la storia dell’arte ha deciso di dipingerla così e, nel XVII secolo, Shakespeare ne perpetua il mito con il suo Antonio e Cleopatra.

Tuttavia, mentre Cesare ed Antonio sono ricordati per i loro successi militari, Cleopatra non ebbe mai il giusto riconoscimenti per i suoi talenti, nonostante lei stessa avesse guidato eserciti e negoziato con potenze straniere dall’alto della sua conoscenza di ben nove lingue, come ricorda la sua biografa Stacy Schiff, per la quale Cleopatra ha anche sofferto di una “pessima pubblicità”: da Michelangelo a Bertold Brecht, non c’è opera in cui non sia stata dipinta come una lasciva tentatrice, forse perché, come scrive Schiff: “è molto meno pericoloso pensare a lei come incredibilmente bella che come incredibilmente intelligente”.

Eppure, le prime testimonianze, visive e letterarie, della sua esistenza parlano di tutt’altro: monete coniate con la sua effige attorno al 30 a.C. la ritraggono come una donna dalla bellezza ordinaria, e Plutarco, nel descriverla, si sofferma molto più sulla sua fine intelligenza che non sulle sue caratteristiche fisiche, sebbene ammetta che fu il suo fascino a sedurre Marco Antonio. Come dire, un prototipo di famme fatale, piuttosto che una bella statuina.

Cleopatra assunse un’importanza particolare nel Rinascimento, quando gli artisti cominciarono ad interessarsi alle vite dei cosiddetti “Uomini Famosi”, eroi o antieroi dell’antichità o della mitologia, tra i quali era accettabile anche la rappresentazione di questa donna che aveva regnato sull’Egitto per 22 anni e che si era tolta la vita in modo tanto romantico e drammatico. Inoltre, la protezione del soggetto storico/mitologico serviva da paravento per le richieste di committenti interessati a riproduzioni… piuttosto sexy.

Dulwich Picture Gallery, Public domain, via Wikimedia Commons

In un dipinto di Guido Cagnacci del 1645, il dramma di Cleopatra si mostra in tutta la sua sensualità: con una mano, la donna si scosta la veste rossa per offrire il seno all’aspide. Non c’è contesto, non c’è storia. In un secondo dipinto dello stesso Cagnacci, stavolta datato 1660, Cleopatra è invece seduta su una sedia a braccioli, e, sebbene sia nuda dalla vita in su, questa precisa scelta di mobilio mostra un certo rispetto dell’artista per la figura storica rappresentata: all’epoca di Cagnacci, infatti, solo sovrani e conquistatori possedevano quel tipo di seduta. Anche il serpente, dapprima protagonista del dipinto, viene relegato ad una figura di sfondo, appena visibile, attorto al bracciolo della sedia.

Anche i conflitti geopolitici hanno influenzato il modo in cui gli artisti hanno pensato e ritratto la regina egizia. Napoleone invase l’Egitto nel 1798, creando un entusiasmo per la regione che culminò poi nell’annessione dell’Egitto alla Gran Bretagna nel 1882. Dieci anni dopo, Reginald Arthur dipinge The Death of Cleopatra, e forse a causa delle voci che si rincorrevano allora su quella terra fascinosa e lontana, aggiunge un che di esotico alla composizione con pelli di animali e un incensiere che brucia sullo sfondo.

In America, nello stesso periodo, l’icona Cleopatra ebbe tutt’altro significato. Diverse artiste ne fecero un simbolo di autodeterminazione e potere al femminile, per lo più scolpito nella pietra piuttosto che dipinto su tela: nel 1876, Margaret Foley scolpì appena il busto di Cleopatra, spostando finalmente l’attenzione dalla sua morte al suo potere. La corona con la quale l’artista le adorna la fronte, non a caso è rappresentata come due serpenti incrociati.

La scultrice Edmonia Lewis andò ancora più a fondo. Interessata alle radici etnografiche della regina d’Egitto, la Lewis studiò le raffigurazioni sulle monete e le testimonianze scritte dell’epoca, giungendo alla rappresentazione di una Cleopatra con tratti somatici africani: una Cleopatra nera. Ma, soprattutto, una Cleopatra padrona di sé fin nella morte.

La curatrice Karen Lemmey ne dirà: “In questa scultura, guardiamo la morte di un leader, che ha scelto di morire perché la sua alternativa era consegnarsi viva al nemico, che viva la voleva come un trofeo per le armate romane. È stata lei ad avere l’ultima parola”.

Eppure, l’ultima parola su di lei l’ha avuta Hollywood. Ritratta da Elizabeth Taylor nell’enorme film Cleopatra del 1963, il suo nome assunse rapidamente tutta una serie di nuovi connotati: soldi, glamour, successo e pettegolezzo. In altre parole, millenni di rappresentazioni non hanno fatto altro che rendere Cleopatra… Una diva del cinema americano!

Marzia Figliolia

Copertina: Fanpop

Marzia Figliolia

Ci sono tre categorie di persone che rischiano di finire sotto una macchina ad ogni incrocio: i distratti; quelli che hanno una melodia in testa e la testa tra le nuvole; quelli che pensano a cosa scrivere nella propria bio quando arriveranno a casa. Io appartengo a tutte e tre le categorie.
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