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I “matti” in Italia: dalla legge Giolitti agli effetti della legge Basaglia

Le malattie mentali sono spesso un tabù.
I cosiddetti “matti”, da sempre esistiti, in Italia erano relegati fin dal XV secolo negli ospedali psichiatrici.

Solo nel corso del Novecento, grazie ad alcuni esponenti della psichiatria italiana, si è giunti a denunciare gli orrori e la sbagliata concezione riguardo agli ospedali psichiatrici. 

La regolamentazione degli ospedali psichiatrici avvenne con la legge n. 36, legge che porta il nome dell’allora Ministro dell’Interno Giovanni Giolitti. Sostanzialmente, questa legge conferiva la delega al direttore del manicomio (dicitura più comune per indicare l’ospedale psichiatrico), il quale poteva decidere il destino del paziente, stabilendone l’ingresso, la terapia e l’eventuale dimissione.

Il direttore del manicomio ha una responsabilità civile e penale nei confronti del paziente. La legge stabilisce anche un riconoscimento unitario alla psichiatria. Neanche a dirlo, all’epoca, e per moltissimi anni, si rinchiudevano nei manicomi personaggi considerati fastidiosi, imbarazzanti (alcolizzati, senza tetto, paralitici) o dissidenti politici.

Durante gli anni 40 e 50 maturano delle terapie dalla dubbia efficacia, su tutte: l’elettroshock, introdotta dai neurologi italiani Ugo Cerletti e Lucio Bini nel 1948; l’utilizzo (accolto con entusiasmo) dal 1952 della cloropromazina, il primo neurolettico (psicofarmaco). 

In un’epoca di ideologie ferventi e consapevolezza politica quale è stata quella degli anni 60/70, si intravede uno spiraglio di cambiamento: la legge Mariotti. Il deputato socialista Luigi Mariotti, il fautore della legge, affermò pubblicamente che i manicomi fossero dei lager. Questa legge cerca di rendere l’ospedale psichiatrico un ospedale generale; prevede strutture con al massimo 500 pazienti; introduce il ricovero volontario. 

La maturazione di una repulsione nei confronti di quelli che erano all’epoca i manicomi raggiunge il suo culmine con la famosa legge Basaglia, legge n.180 del 1978, ispirata dall’importante psichiatra Franco Basaglia. La legge ha di fatto condotto alla chiusura dei manicomi in Italia; prevede l’eliminazione della pericolosità come motivo di cura; introduce il Trattamento sanitario obbligatorio solo in alcuni casi particolari; prevede la sostituzione dei manicomi criminali con gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg); la gestione da parte degli enti locali delle strutture adibite alla cura dei pazienti psichiatrici. Infine, punto fondamentale: la legge restituisce il diritto di cittadinanza ai pazienti interessati.

La legge Basaglia si sviluppa in un contesto di grande clamore mediatico: il caso Coda. Quest’ultimo è uno psichiatra torinese, vicedirettore dell’Ospedale psichiatrico di Collegno e direttore di Villa Azzurra. Coda è noto come “l’elettricista”. Lo psichiatra era solito praticare l’elettroshock in maniera duratura ai genitali o alla testa del paziente. La conseguenza di questa “cura” (che secondo Coda avrebbe dovuto curare il malato) era un dolore lancinante, spesso frutto di un elettroshock praticato senza anestesia, senza pomata e gomma in bocca (questo faceva perdere i denti ai pazienti). Il caso Coda sconvolse, all’epoca, e il medico fu condannato a cinque anni di detenzione, dovette pagare le spese processuali e fu interdetto dalla professione medica per cinque anni. 

I malati di mente erano percepiti, più che altro, come un problema dalla dubbia risoluzione, e letteralmente rinchiusi in strutture spesso terrificanti, con cure altrettanto terrificanti. Dopo la legge Basaglia, i manicomi chiusero gradualmente. Il DPR 93/1994 “PROGETTO OBIETTIVO SALUTE MENTALE 1994-1996” si concentra proprio sulla chiusura definitiva dei manicomi.

Attualmente, all’interno del Dipartimento di salute mentale, esistono nel nostro paese alcuni tipi di struttura per i servizi di salute mentale: i centri di salute mentale; i servizi psichiatrici di diagnosi e cura; i centri diurni e i day hospital; le strutture per attività riabilitative in regime residenziale. I REMS (Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza) hanno, infine, sostituito gli OPG dal 2013 ad oggi. 

Basaglia è stato un fondamentale elemento di rivoluzione nella concezione del malato. “Occorre violentare la società, obbligarla ad accettare il folle e aiutare la comunità dei sani a capire cosa significa la presenza di una persona folle nella società”. 

Il processo non è semplice. Nel bel servizio giornalistico “Matti per sempre”, delle giornaliste Maria Gabriella Lanza e Daniela Sala, sono riportati alcuni interessanti interventi di psichiatri italiani. Tra questi, un intervento di Gianfranco Aluffi. Responsabile del servizio per la Asl Torino 3, Aluffi è stato il primo ad introdurre gli Iesa (Inserimento etero-familiare supportato di adulti).

Gli Iesa sono, attualmente, 300. Sono stati introdotti nel 1997 e prevedono l’inserimento di pazienti psichiatrici nelle famiglie in affido. Per ogni paziente accolto è previsto un assegno (necessario per coprire le spese) dai 300 ai 1.300 euro, in base alle sue esigenze. Il dottor Aluffi spiega che i pazienti accolti hanno ottenuto dosaggi dei farmaci dimezzati e i loro ricoveri sono diminuiti. Risulta, quindi, positiva l’accoglienza del malato psichiatrico in società. 

Le strade aperte dalla legge Basaglia sono molte, e sostengono tutte un doveroso riconoscimento del paziente psichiatrico come persona, dotata di una precisa identità e diritti. Il percorso verso questo riconoscimento è stato doloroso, ricco di sofferenza e costrizioni (come la terapia di contenzione meccanica, cioè il legare mani e piedi con fasce di cuoio il malato a letto).  

Anche la letteratura, il cinema, il mondo delle serie tv si è interessato a tratteggiare e a riportare tutte le sofferenze patite dai pazienti rinchiusi nei manicomi. A proposito del caso Coda: il meraviglioso film La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana lo riporta brevemente. 

Restando nell’ambito del cinema italiano, uno dei film più commoventi degli ultimi anni a tema salute mentale è La pecora nera. Esordio alla regia di Ascanio Celestini, che è anche l’attore principale, La pecora nera è la storia di Nicola, un uomo cresciuto “nei favolosi anni ‘60”. Nicola era, da bambino, leggermente eccentrico, credeva ai marziani e sua madre viveva in un manicomio. Cresciuto con la nonna contadina, Nicola non compie nessuna azione strana. Nicola non è violento, non è cattivo. Però Nicola viene costretto a vivere in un manicomio, perché Nicola è considerato strano. E allora trascorre tutta la sua vita in solitudine, in una struttura isolata e dimenticata dalla società.

E con queste parole struggenti, uno dei pazienti del manicomio chiude il film: “Come è possibile, mi domando a volte, camminare sui prati verdi e avere l’animo triste… essere immersi nel caldo del sole, mentre tutto all’intorno sorride, e avere l’angoscia nel cuore? Lasciate a noi le vostre tristezze, a noi che non possiamo andare sui prati, e non vediamo mai il sole.”

Aurora Scarnera

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Aurora Scarnera

Classe 1998, frequenta il primo anno di Filologia Moderna presso l’Università di Napoli Federico II. Giornalista pubblicista dal 2020 e cantante occasionale, scrive articoli dai tempi del liceo. Curiosa del mondo, crede fermamente nel valore dell’informazione e nella forza del suo veicolo trasmissivo.
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