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“La morte di Marat”, l’omicidio politico di un Cristo

Anno domini 1793. Jean Paul Marat, capo dei Giacobini e personaggio fondamentale della Rivoluzione Francese, viene assassinato. 

Sarà l’amico e pittore Jacques-Louis David l’autore del celebre quadro che commemora la morte dell’uomo.

13 luglio 1793. Jean Paul Marat, uomo incorruttibile e dagli ideali forti e saldi, era di certo abituato ad essere perseguitato e minacciato dai suoi avversari politici. 

Personaggio attivo e difensore assoluto dei principi rivoluzionari, Marat era solito nascondersi negli ambienti peggiori e malsani, proprio per sfuggire all’odio omicida dei suoi numerosi nemici. 

Era proprio a causa di quest’abitudine che l’uomo aveva contratto una grave infezione cutanea che lo costringeva a lunghe cure con l’acqua calda nella vasca da bagno

Ed è esattamente in una vasca da bagno che lo vediamo nel dipinto dell’amico Jacques-Louis David, il corpo privo di vita, con alcuni dettagli che ci danno notizie più precise sulle circostanze del suo assassinio. 

Marie Anne Charlotte Corday. È lei l’autrice dell’evento. Lei, che con l’inganno, si è presentata al cospetto di Marat e l’ha pugnalato, togliendogli la vita. 

Ma qual è questo inganno? 

Lo ritroviamo nella mano sinistra di Marat, all’interno del dipinto: un biglietto di supplica, scritto in francese, che recita: “13 luglio 1793. Marie Anne Charlotte Corday al cittadino Marat. Basta che io sia tanto infelice per aver diritto alla vostra benevolenza”. 

Una vera e propria trappola, con la quale la donna ha lodato proprio quelle caratteristiche dell’uomo per cui lei l’avrebbe ucciso di lì a poco.

La lettera si presenta sporca di sangue, quello di Marat. Della donna, invece, non sappiamo nulla, oltre al fatto che fu condannata alla ghigliottina quattro giorni dopo l’omicidio. 

Solo un dettaglio ci fa capire che, effettivamente, la sua presenza è stata determinante per i fatti successivi: il coltello sporco di sangue sul pavimento, unico dettaglio che ci fa sentire l’imponenza e la pesantezza della presenza della donna, anche se non la vediamo.

Il dipinto, in sostanza, presenta pochi elementi, ma questi sono pregni di significato e conferiscono all’opera un senso drammatico e di lutto. L’attenzione di chi guarda è tutta focalizzata sul deceduto e sui dettagli che lo riguardano: la testa rovesciata sulla spalla destra, il lenzuolo sporco di sangue, la ferita, la penna ancora tra le dita della mano destra. 

Importante, inoltre, sottolineare come per il pittore non si sia trattato tanto di rappresentare l’omicidio in atto, quanto le sue conseguenze. Gli attimi immediatamente successivi, che ritraggono quello che era stato un personaggio fondamentale ormai indifeso, privo di vita. 

La stanza è anonima e, in realtà, sembra quasi non esserci una vera e propria stanza fisica. Sembra, piuttosto, un luogo sospeso, un non luogo, proprio per far sì che l’attenzione si focalizzi sul “chi” e sul “cosa”, piuttosto che sul dove. 

La posizione di Marat, inoltre, non può non far pensare ad un parallelismo con la Pietà o con la Deposizione di Cristo ed è forse questo uno stratagemma che il pittore – e, ricordiamocelo, amico di Marat – ha adoperato per esaltare la grandezza del personaggio. 

È proprio grazie a questo parallelismo presente in questo dipinto che Marat è diventato vera e propria icona dell’eroe rivoluzionario. 

Anna Illiano

Vedi anche: Caravaggio tra paradosso e scandalo: la prima versione di “San Matteo e l’angelo”

Anna Illiano

Anna Illiano (Napoli, 1998) è laureata in Lingue e Letterature euroamericane e si sta specializzando in editoria e giornalismo presso La Sapienza di Roma. Ha un blog personale “Il Giornale Libero” ed è articolista per il magazine La Testata. Dal 2021 collabora occasionalmente col giornale “il Post Scriptum”
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