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A Napoli WellBar il caffè non è mai stato così socievole

Apre il 7 giugno nella stazione metropolitana di Napoli Gianturco, in via Benedetto Brin, il nuovo spazio sociale targato Chiari di Bosco e Consorzio Proodos, nella rete di Confcooperative Federsolidarietà Campania.

Napoli WellBar si fa strada tra le innumerevoli attività commerciali presenti sul territorio, ma capiamo che non è il solito bar dietro l’angolo.

Si tratta di una nuova idea di luogo condiviso in cui è possibile – ovviamente – gustare un buon caffè, ma anche ritagliarsi un momento per lavorare, realizzare e progettare eventi stando a contattato con le realtà del Terzo Settore. 

Il piacere di ritrovarsi, il gusto di essere una comunità, scambiarsi idee e condividere storie, sono solo alcuni degli obiettivi che sono alla base del progetto Napoli WellBar. 

Perché, siamo sinceri: quante cose belle nascono tra le sedie di un bar?

C’è una strana forma di energia tra i tavoli, sembra quasi che una forza spinga dal basso e allinei i pianeti anche per pochi secondi. È uno dei pochi luoghi che nella nostra cultura continua ad unire le persone; a differenza di chiese e partiti, il bar resiste e accoglie sempre. 

Ma siamo curiosi di sapere quale è stata, questa volta, la forza motrice e protagonista per l’ideazione e l’apertura di Napoli WellBar. Con Mario Sicignano, presidente del Consorzio Proodos, abbiamo parlato di trasformazioni, aggregazione, di equilibri e marginalità. E qualcosa abbiamo cominciato a capirla.

Napoli WellBar nasce in un luogo della città non casuale, una di quelle zone spesso vessate dal pregiudizio, dal degrado urbano e sociale, abbandonata in un limbo tra Napoli Est e la zona della stazione centrale. Ricordiamo però che Gianturco ha saputo dire la sua come ventre pulsante di quella generazione politicamente impegnata e di rilancio culturale con Officina 99 e le Posse. 

Considerando che, siete già attivi sulla zona con gli uffici di Proodos proprio all’interno della stazione metropolitana, cosa vi avvicina a questa particolare zona e vi lascia scommettere sul rilancio sociale e urbanistico di questo quartiere?

«Le organizzazioni che a vario titolo operano nel sociale devono porsi il problema di trasformare la società, migliorando la qualità della vita delle comunità residenti. L’esperienza di Officina 99 è una delle tante che, attraverso l’arte, la musica, la cultura cosiddetta antagonista e l’attivismo politico, ha dato certamente un contributo ad un simile percorso ed ha acceso i riflettori su un territorio periferico, come quello di Gianturco, assolutamente privo di luoghi di aggregazione, confronto e scambio. 

Le cooperative sociali non possono certamente sfuggire alla logica della partecipazione diretta per promuovere il cambiamento… anzi!

La nostra cooperativa Chiari di Bosco, del Consorzio Proodos, sta avviando questa iniziativa di impresa sociale proprio con questa logica. Il bar della stazione, luogo di per sé di passaggio, di arrivi e partenze, diventa luogo di scambio, di condivisione, dove è possibile creare valore. Ai servizi per la comunità viaggiante si aggiungono i servizi ai residenti, alle organizzazioni impegnate sul territorio, a chi ha qualcosa da dire e da dare. Uno spazio multifunzionale, dove poter anche studiare, lavorare, organizzare piccoli eventi e dove si promuove l’inserimento lavorativo di giovani e persone in condizioni di difficoltà.»

Invadete Napoli con un’idea di grossa diffusione contemporanea, quella di un luogo non solo di ristoro ma vero open space in cui riunite idee, professionalità e sinergie. Da dove arriva l’ispirazione per mettersi al servizio del prossimo – possiamo dirlo? –  e quali sono i futuri progetti?

Insomma, dove si vede WellBar tra 5 anni?

«L’impostazione delle nostre attività, siano esse di carattere assistenziale, educativo, o di impresa sociale volta all’inserimento lavorativo, nascono dall’essenza stessa della cooperazione sociale, quella sana ed autentica. Il nostro mandato è di essere costruttori di bene comune, senza lasciare nessuno indietro. Il percorso avviato con l’apertura di Napoli Wellbar (che fa un po’ il verso al Welfare per il quale siamo da oltre vent’anni impegnati) vuole essere un’opportunità di sviluppo per il territorio che abitiamo; sappiamo quanto sia importante il processo di contaminazione e, pertanto, miriamo a costruire, grazie al contributo di tutti, non solo un modello replicabile in altri contesti, ma anche un’esperienza contagiosa che può dare il “la” alla sperimentazione di altre iniziative simili su questo territorio».

Napoli è piena di storie difficili, di intimidazioni intellettuali che sono, a volte, risposta non elaborata a situazioni di pericolo, di timore e panico per la propria vita o per la propria integrità. C’è paura, povertà di pensiero e tanta sfiducia. Ciò che è necessario per disinnescare la macchina perdizione e dello spaesamento è poter ricostruire quelle modalità di relazione che rendono possibile un legame, un rapporto su cui poter contare.

Come Proodos lavora sulla straordinarietà coinvolgente del fare cooperazione umana, qual è la mission che Napoli WellBar si pone di fronte alla rivalutazione sociale del progetto? 

Ci auguriamo diventi polo di comunicazione e ritrovo per chi ha più difficoltà nel costruire una vita che vale la pena di essere raccontata, ma come intendete integrare minoranze etniche, svantaggiati e giovani?

«L’avvio del bar è solo un tassello di un mosaico più ampio, volto allo sviluppo armonico del territorio; un progetto di rete che si fonda su una visione fortemente caratterizzata da alcuni dei principi fondanti del nostro essere imprese sociali: pari opportunità per tutti e valorizzazione delle differenze.

Insieme a Proodos, consorzio di cui siamo soci, abbiamo avviato una serie di interlocuzioni con altre realtà già presenti sul territorio, del terzo settore (associazioni, cooperative e Fondazioni), del mondo imprenditoriale pubblico e privato (in primis RFI) e istituzioni pubbliche (IV Municipalità del Comune di Napoli, istituti scolastici) per dare vita ad azioni di rete finalizzate alla creazione di una comunità educante inclusiva e aperta. Una rete di soggetti che operano sul territorio di Gianturco, fortemente popolato, tra gli altri, da cittadini stranieri, in particolare dalla comunità cinese, che hanno così deciso di unire le forze per dare risposte integrate ai tanti bisogni che con l’emergenza sanitaria, oggi più che mai anche economica e sociale, diventano sempre più pressanti e diffusi.

La stazione delle Ferrovie dello Stato di Napoli Gianturco acquisisce quindi anche un valore simbolico di integrazione e protagonismo dove, grazie al contributo di tutti i partner della rete, è possibile essere seguito in percorsi di orientamento scolastico o finalizzati all’inserimento lavorativo, svolgere il Servizio Civile Universale, fare tirocini lavorativi, ottenere informazioni, organizzare eventi culturali, meeting aziendali, ecc…».

Quest’anno il Covid non ha dato molto scampo, pochi momenti di respiro e ancor più pochi quelli di sollievo. Molti commercianti hanno patito la fame e molte sono le attività che hanno chiuso a chiave la porta delle loro passioni. 

Quanto è stato difficile investire in un progetto come questo? Napoli WellBar sarà sicuramente centro di aggregazione sociale, ma nasce in primis come attività commerciante. Ecco, avere il coraggio di lanciarsi in un periodo che non dà molto a sperare, non è da tutti.

«In un periodo in cui continuamente si sente parlare di resilienza e della capacità, una volta superata l’emergenza, di ripristinare lo status quo, penso che la cooperazione sociale abbia il compito ancora una volta di lanciare il cuore oltre l’ostacolo. 

Con la visione un po’ ottimistica che deve caratterizzare ogni nuova impresa, unitamente alla capacità di saper leggere i bisogni tipica della cooperazione sociale, prendo in prestito l’immagine evocativa tracciata da Nassim Nicholas Taleb nel suo L’antifragile e dico che dallo stato di disordine creato da un evento inaspettato quale questa pandemia, diventa quanto mai opportuno sperimentare nuove opportunità di sviluppo, anche imprenditoriali, per mirare ad un nuovo equilibrio, più giusto ed attento alle esigenze di chi si trova o potrebbe scivolare in condizioni di marginalità».

Ai non privilegiati, alle vittime di violenza, ai discriminati, ai giovani alla deriva, per noi generazione di sconvolti – come cantava Vasco – cosa direste per tornare a fidarci del futuro e degli adulti?

«Credo che bisogna provare a cambiare il paradigma. Il primo passo da fare è certamente legato alla corretta informazione, per cui documentatevi, veniteci a trovare, parliamone; da questo scaturisce l’invito ad una pratica di partecipazione diretta e non solo di delega… perciò sperimentatevi perché le occasioni, laddove non ci sono, si possono creare insieme. Ad integrazione dei due passaggi precedenti metterei la comunicazione, con l’utilizzo di linguaggi appropriati: spesso non siamo capaci di parlare il linguaggio giusto per essere ascoltati e far arrivare i messaggi. Siamo noi adulti che abbiamo certamente bisogno dei giovani e non solo viceversa!

Veniteci a trovare al Napoli Wellbar, nella stazione di Napoli Gianturco e, tra un caffè e una prelibatezza dei nostri fornitori, magari ne parliamo. Alè!»

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Serena Palmese

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Serena Palmese

Mi piacciono le persone, ma proprio tutte. Anche quelle cattive, anche quelle che non condividono le patatine. Cammino, cammino tanto, e osservo, osservo molto di più. Il mio nome è Serena, ho 24 anni e ho studiato all’Accademia di belle Arti di Napoli. Beati voi che sapete sempre chi siete. Beati voi che sapete sempre chi siete.

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