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Pronto, c’è nessuno? Ho bisogno di poesia!

Seduta sul pavimento di linoleum nella cucina di casa, aggrovigliavo le dita attorno al cavo giallo del telefono attaccato al muro mentre ridevo con i miei amici per le nostre vicende adolescenziali.  

Lo facevamo tutti: ore di chiacchiere che ci costavano bollette rovinose e allora i nostri genitori cercavano tariffe convenienti come oggi noi cerchiamo offerte su Amazon.  

Oggi al telefono non parla più nessuno. Gli altri scrivono. 

Ci sono giorni, incastrati come chicchi di perle, uno dietro l’altro, che si rincorrono e si ripetono tutti uguali, allineati e simmetrici senza logica di continuità. 

Ci sono giorni che scandiscono tutte le ore, dal mattino alla sera, in maniera assordante.  

Ci sono giorni in cui non si è, non si vuole essere. Sono giorni che scivolano senza passare, trascorrono senza parlare, trapassano qualcosa ma senza bucare. 

Quei giorni, quelle ore, quei pensieri fanno parte del nostro oggi, in misura varia, a seconda del personale baricentro che ci si costruisce per mantenere un certo equilibrio.  

Ma nessuno ne è esente. 

E poi ci sono giorni in cui i versi di una poesia cercano di far luce tentando di aprire prospettive, di sciogliere o scostare a giusta distanza quei chicchi di perle ancora troppo legati a soluzioni immaginifiche.  

Forse è per questo che qualcuno si è inventato la poesia al telefono… 

John Giorno regalava poesie ed è stato uno dei primi artisti a sperimentare il reading, le letture ad alta voce nei luoghi più inconsueti. Un personaggio, un poeta, un artista che ha vissuto i suoi giorni riempiendoli di iniziative, forse per sconfiggerne la noia. 

«Un mio amico mi stava raccontando al telefono un pettegolezzo decisamente noioso, erano le 11 precise e io non avevo assolutamente voglia di ascoltarlo, perché sono così infastidito? Non potrebbe questa stessa voce leggermi una poesia?». Così nasceva Dial-a-Poem.  

Il sistema era facile e interessante. Quindici linee telefoniche erano collegate ad un’unica macchina in grado di pescare, da una banca di registrazioni audio, una poesia (poteva capitarti Patti Smith, Jonny Cage o Allen Ginsberg solo per citarne alcuni). 

Il numero da chiamare per avere accesso alla linea si trovava su alcuni adesivi affissi nei locali più cult di New York e sui vagoni della metropolitana. A neanche un mese dal lancio del progetto, il New York Times dedicò un trafiletto a John e alla sua idea riportando sulla pagina del giornale il numero da chiamare. 

D’improvviso un boom! 

«Il momento più trafficato della hotline era tra le 9 del mattino e le 5 del pomeriggiocapivi immediatamente il bisogno di evasione di tutte quelle persone sedute alla propria scrivania nei grattacieli di New York. La seconda fascia più intasata era invece quella tra le 8.30 e le 11.30 di sera, erano le chiamate dalla California di tutti coloro che facevano uso di acidi e non riuscivano a dormire». 

Magari anche lui in quei giorni voleva soltanto usare il telefono e raccontare parole a cuori ed orecchie che avevano bisogno di sentirle… e se nel 1969 da New York il nostro multiforme poeta, dava il via al progetto Dial-A-Poem che permetteva, digitando un numero di telefono, di ascoltare cinque minuti di poesia, in molti hanno approfittato di questa particolare cura. 

In Italia quest’anno, in occasione della Giornata mondiale della poesia, nasce il 21 marzo l’iniziativa Contagi diVersi. L’idea è di un gruppo di giovani attori del Teatro Stabile di Torino riuniti nell’associazione Il menù della poesia, un progetto nato in tempi di emergenza da coronavirus per accorciare le distanze e per consegnare a domicilio un’esperienza diretta di poesia. 

«Nei primi giorni dell’emergenza è stata subito evidente la ricerca, da parte di molti, di rifugiarsi nell’arte come antidoto contro la paura e l’isolamento: abbiamo realizzato quanto il desiderio di tenerci per mano passasse attraverso un canto intonato a una finestra, la condivisione di musica e letteratura sul web, o un applauso collettivo che diventava il battito di un Paese che provava a restare unito attraverso veri e propri atti poetici. 

Ci siamo domandati quale potesse essere il nostro contributo, come artisti e come cittadini, durante questo momento eccezionale e come avremmo potuto portare avanti la nostra missione culturale. Per non perdere quell’intimità e complicità delle nostre performance, nonostante l’imposizione del distanziamento sociale, ci siamo affidati alla telefonata, tanto intima quanto interattiva: live dunque, ma nel rispetto del decreto». 

Ma in che modo? C’è un vero menù della poesia che cambia ogni giorno, dà disponibilità di scegliere dei versi da regalare a una persona che per via del lockdown o per altri motivi, non è possibile incontrare.  

La poesia è consegnata attraverso una telefonata o un messaggio vocale, che un attore recita al destinatario subito dopo avergli letto la dedica del mittente, Le consegne avvengono tutti i giorni dalle ore 18:00 alle 21:00, proprio come un PoetryDelivery (così chiamato da loro) ad ora di cena! 

L’obiettivo, spiegano gli artisti, «è quello di intrattenere tramite la recitazione e la poesia, che di solito viene considerata noiosa, difficile e per pochi. Ma recitandola in modo intimo, diretto e a stretto contatto con le persone, soprattutto in contesti inusuali, cerchiamo di dimostrare quanto la parola possa arrivare velocementeVogliamo raggiungere chi è in casa da solo e, con la nostra voce e la nostra esperienza attoriale, farci tramite di messaggi poetici. Non vogliamo smettere di diffondere arte e bellezza». 

Inoltre, per dare un aiuto concreto la compagnia ha scelto di organizzare una raccolta fondi a sostegno dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, una delle strutture sanitarie più colpite.  

L’iniziativa doveva durare una settimana ma dopo il primo mese e circa 13 mila euro raccolti grazie alla partecipazione di molti, hanno deciso che il PoetryDelivery doveva continuare.  

Anche a Philadelphia è stata lanciata un’iniziativa simile.  

Nel contesto di una pandemia, un’elezione presidenziale e una resa dei conti razziale, Healing Verse è il progetto che permette di alscoltare una poesia al telefono.  «Offre un barlume di speranza perché tutte queste cose hanno un impatto su di noi spiritualmente, mentalmente» ha detto la poetessa Trapeta B. Mayson, l’autrice stessa del progetto, “e ora, più che mai, abbiamo bisogno di spazi per elaborare». 

Durante il lockdown molti gruppi della rete di sostegno che normalmente aiuta le persone più fragili (alcolisti anonimi, tossicodipendenti, senzatetto ecc.) si sono spostati su Zoom, Skype o altre piattaforme. Healing Verse fornisce anche risorse per la prevenzione del suicidio, l’alloggio e l’abuso di sostanze. 

Non tutti, però, si trovano a loro agio con chat e video call, soprattutto le persone di una certa età: 

«Volevo essere creativa, usare la poesia per spingere le persone a partecipare a qualcosa che potesse provocare nostalgia. Anche se p essere vecchia scuola, ha una portata più ampia» spiega Mayson.  

Certi giorni hanno solo bisogno di poesia per essere vissuti. 

Certi giorni andrebbero spezzati, come quei lunghi fili che sorreggono chicchi di perle. Srotolarli per poi cominciare daccapo.  

Serena Palmese
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Serena Palmese

Mi piacciono le persone, ma proprio tutte. Anche quelle cattive, anche quelle che non condividono le patatine. Cammino, cammino tanto, e osservo, osservo molto di più. Il mio nome è Serena, ho 24 anni e ho studiato all’Accademia di belle Arti di Napoli. Beati voi che sapete sempre chi siete. Beati voi che sapete sempre chi siete.

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