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Vincenzo Gemito. Dalla scultura al disegno: il maestro torna a casa 

La storia d’amore tra Napoli e il suo pazzo, il suo pupillo, il suo genio autodidatta Vincenzo Gemito è una storia di fantasmi, di ossessioni, di amori e follie, di morte e scatenata vita.

I visi di Napoli, le loro bellezze e le loro brutture sono state incise dal Gemito con precisione millimetrica nella terracotta, nel bronzo e nel prezioso argento.

Precisione millimetrica e movimento, fragilità, rughe e contorni, pieghe, onde e atteggiamenti sfrontati dei pescatori di Marechiaro e Mergellina, facce di scugnizzi indomiti.

Napoli è la casa artistica e culturale di questo intellettuale – bestia, uomo dannato perseguitato dalla propria malattia mentale, dalle figure, dalle immagini.

La sua arte, fresca di ritorno da un viaggio a Parigi, è in mostra dal 10 settembre al 20 novembre al Museo di Capodimonte. O, almeno, lo sarebbe stata se il nuovo DPCM non avesse previsto la chiusura dei musei e delle gallerie d’arte. Purtroppo, dovremo attendere tempi migliori per poterci riaccostare all’arte, per poter interagire con essa di persona, per poter posare i nostri occhi curiosi ed affamati su di essa direttamente, senza schermo a fare da filtro. Seguiamo, tuttavia, questa mostra come se ci fossimo dentro, come se potessimo andarci.

Il nome della mostra è: Gemito, dalla scultura alla pittura. E l’intento della mostra è restituire, in effetti, una dimensione nuova e diversa dell’artista napoletano, esplorare quindi il Gemito romantico, sentimentale, che ha utilizzato come muse le sue amanti  e mogli. Ci troviamo, dunque, faccia a faccia con le due donne più importanti della vita di Gemito: la sofisticata modella francese Mathilde Duffaud e la verace, bellissima, selvaggia napoletana Anna Cutolo. Quella Anna che lo sposò dopo il suo ritorno dalla Francia, malato di sifilide, la creatura che lentamente iniziò a mangiare la sua lucidità oltre che il suo corpo.

Il supplizio della instabilità, dell’ossessività di questo ragazzo orfano, esposto, abbandonato e cresciuto per strada, girovago e inquieto, randagio, è raccontato con maestria da Wanda Marasco nel suo Il genio dell’abbandono. La biografia dello scultore ci presenta uno scenario claustrofobico in cui l’estrema creatività diventa anche un rifugio dalla vita, imprendibile ed incerta, caotica ed indefinibile.

Gemito aveva, come potranno felicemente osservare i fruitori della mostra, dalla sua, un talento e una abilità sovraumani, quasi come se fosse un invasato, riempito di una forza divina che utilizzava la sua mano come uno scalpello, come un pastello. Gemito scelto misteriosamente, senza sapere perché, forse anche maledicendo il suo tratto vibrante, vivo, sensibile.

In quel tratto perfetto, riproducente la forma umana nella sua realtà più visibile, la vera arte è nella piccola incertezza, nella minuscola impercettibile sbavatura, è l’attimo d’esitazione che parla il linguaggio dell’emozione.

Gemito. Dalla scultura al disegno, a cura di Jean-Loup Champion, Maria Tamajo Contarini e Carmine Romano, è precisamente una mostra dell’emozione, una discesa nella profonda umanità di Vincenzo Gemito. I suoi schizzi, di una bellezza abbacinante, delle due mogli, ritratte nella loro essenza più vera, sembrano riprendere pedissequamente l’affermazione del Vasari sull’arte di Leonardo Da Vinci, quando come lo siglò come colui che “dette alle sue figure il moto e il fiato”.  È la mostra dell’abisso, ma anche della gioia, del “figliol prodigo” che ritorna in patria per essere abbracciato dai suoi concittadini, accolto nella sua bravura ultraterrena e nella sua follia. La varie sezioni della mostra costruiscono le tappe del viaggio, della iconografia, della vita artistica e vissuta di un artista incompreso eppur riconosciuto, mai sazio, mai soddisfatto. I busti di personaggi illustri, veritieri e severi, i ragazzini, tra pescatori napoletani e pastorelli degli Abruzzi ed infine le donne, protagoniste assolute della fortunata mostra francese, sono il panorama di un animo.

 

Un animo senza confini, purissimo, grandissimo, dell’artista che fu «meschino per nascita, magnifico per natura».

Buon viaggio e buona visita, godetevi la Napoli bella, la Napoli culturale, la Napoli artistica.

 

 

Sveva Di Palma

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La Redazione

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