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The Floating Piers : omaggio alla vita e all’arte di Christo Vladimiro Javacheff

Il 2020 non vuole rallentare. Uno degli anni più infausti degli ultimi tempi, continua a portarsi via artisti, uomini, musicisti.

Sembra quasi il 2016, con una botta di sadismo in più. Perché la pandemia proprio no, non ce la aspettavamo mica.

Questa cattivissima annata – che speriamo volga presto al termine, donandoci nel frattanto almeno una gioia – ha portato via poche ore fa il visionario artista Christo. La sua immaginazione, ricca e unica, è stata in grado di concepire e creare i Floating Piers: i pontili galleggianti di polietilene ad alta densità installati sul Lago d’Iseo.

Le istallazioni di Christo, fino al 2009 architettate in simbiosi con Jeanne-Claude, compagnia di vita, di arte, di anima, lo hanno reso nel tempo uno dei più conosciuti maestri di quella che viene definita dagli studiosi come land art. Il movimento si diffuse negli Stati Uniti negli anni di ribellioni e proteste: il famoso – o famigerato, per alcuni – 1968.

Assieme a Robert Smithson, Richard Long, Michael Heizer, Dennis Oppenheim e, grazie al celebre Grande Cretto, anche al nostrano Alberto Burri, Christo decise di recidere i legami con il mainstream dell’epoca, ovvero la pop art, e figurarsi qualcosa di completamente nuovo, di mai visto.

L’idea di fondere grandi istallazioni artistiche  temporanee con il mondo naturale era una rottura dalle ripetizioni e dalla serialità della pop art: l’artista si riappropria della natura dopo averla ignorata, riflette e si riflette in essa, reclamando il suo spazio come luogo di espressione e di bellezza.

Tuttavia, questa riconquista non ha nulla a che vedere con i verismi e i naturalismi di epoche antecedenti che si limitavano ad una riproduzione pedissequa o al massimo personalissima del mondo naturale; nella land art l’ uomo imprime ed impone la sua fantasia agendo direttamente sulla natura e l’ambiente selvaggio. I luoghi predisposti alle istallazioni, non a caso, sono sempre isolati, principalmente incontaminati, così che la grandezza dell’ opera saltasse all’occhio, lo scopo lo stupore, l’attenzione totale dell’osservatore.

Non basta più dunque la semplice tela, o le dimensioni fino a quel punto implementate, il pensiero si spinge più in là, a creare disegni e geometrie dove esse possano dialogare con ghiacciai, deserti, alberi, fiumi.

Natura e uomo sono antitesi ma anche parti di un unico ordine primordiale che li culla e li accomuna, proprio attraverso quella comune concezione della curva, della matematica, quelle idee a priori che esistono come proiezioni endogene del cervello umano. L’obiettivo era, chiaramente, anche di riportare l’attenzione sull’ambiente, l’imprescindibile importanza che ha per la salute del pianeta. I materiali utilizzati, infatti, sono sempre stati attentamente scelti per servire le necessità artistiche ma anche in base al loro impatto ambientale. Portare all’attenzione doveva imperativamente coincidere con il rispetto e la tutela.

Christo ha fondato insieme a Jeanne-Claude un sogno rivoluzionario di ampissimo respiro artistico ed umano, rilasciando nella natura opere di illimitata ambizione e fantasia. Gli “impacchettamenti”, la rivoluzione della concezione di bello e di paesaggio, sono un’opera mondiale riconosciuta per il suo valore simbolico, innovativo, talvolta enigmatico. L’impacchettamento di ponti, statue, monumenti aveva lo scopo di celare e rivelare, creando mistero ed evidenza al contempo. Il carattere fondamentale dell’arte di questo artista bulgaro e della sua consorte era quello della temporaneità, l’essere effimero delle istallazioni ne accentuava il carattere onirico, come un fugace sogno lucido. Era necessario lasciarsi andare, farsi prendere dalla follia momentanea senza interrogarsi troppo, abbracciando quella breve illusione di impossibile.

La meraviglia, l’enormità delle opere di  Chirsto giace proprio nelle loro sproporzioni, nella gigantesca speranza e volontà di realizzare il difficile, l’ambizioso, l’indicibilmente vasto e – all’apparenza – irrealizzabile. Con Christo muore la visionaria determinazione di un genio dell’inventiva, del gioco, della sperimentazione visuale e concettuale.

Meno bellezza, in un mondo che di bellezza – ora-  ha disperato bisogno.

Sveva Di Palma

Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.

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