Arte & Cultura

Alla stazione: i miei “Stati d’animo”

Di Umberto Boccioni mi ha sempre affascinato la volontà di immergere l’osservatore all’interno della sua arte, creare una stretta sintesi fra la percezione ottica e ciò che questa fa affiorare nella nostra memoria.

Con pochi e fitti tratti è capace di renderti partecipe di un evento da lui raffigurato, suscitando emozioni troppo forti per essere controllate.

E, quando ho visto per la prima volta la sua serie di quadri Stati d’animo, inevitabilmente ho pensato a me, a noi. O a quello che ne rimane.

Allora facciamo un gioco: entriamo nelle sue tele, riviviamo insieme quel momento. Almeno per un’ultima volta.

1. Gli addii

Siamo fermi sulla banchina, in trepidante attesa. Il fischio del treno stride nelle orecchie, come un richiamo lontano. Afferro le tue braccia, stringo a me quelle spalle troppo larghe, così poco giuste per te che sei ancora un bambino. Intorno, il nostro gesto si ripete in un turbinio di corpi ammassati gli uni agli altri, mentre la locomotiva 6943 arriva sbuffando fumo dalla caldaia. In quell’abbraccio racchiudo tutto quello che sento, sperando che questo sia utile per farti restare. Ma lo so – lo sai – che non basterà.

2. Quelli che vanno


Ti svincoli senza troppi complimenti, rivolgendomi un ultimo saluto con la mano. Sali sul vagone senza voltarti, con l’andatura perfettamente dritta e modulata di chi sa a cosa sta andando incontro ed è pronto ad affrontarlo. Ti perdo fra la folla, invano ti cerco, ma il tuo profilo si è già confuso con quello di altri che, come te, lasciano tutto in cerca di qualcosa di meglio. Non vorrei, ma è come se già avessi dimenticato i lineamenti del tuo volto.

3. Quelli che restano

Un altro fischio e la locomotiva parte, non aspetta nessun altro. In molti sbracciano, cercano un ultimo contatto con i propri cari mentre io resto immobile in mezzo alle persone, travolta dai loro movimenti irruenti e protesi verso quello che ormai è un puntino lontano nel mezzo della galleria. Indugio sulla banchina ancora un po’, circondata da una precoce nostalgia. Lentamente, la stazione comincia a sfollarsi ed io, incapace di muovermi, vago con gli occhi verso qualcosa che ormai non mi appartiene più.

Giuro, doveva essere solo un gioco. Ma a volte, quando mi ricapita di osservare a lungo quel ciclo pittorico, non riesco a dissuadermi dall’idea che una parte di noi sia rimasta in quei quadri, intrappolata nella pittura.
Scorgo il tuo profilo frammentato in tutti quelli che vanno via.
Sono ancora sulla banchina, in attesa. In lacrime, fra quelli che restano.
Ed il nostro addio, il nostro ultimo abbraccio, è ancora suggellato lì: nella prima tela.

N.B.
i quadri trattati appartengono alla seconda versione della serie Stati d’animo di Umberto Boccioni. La storia narrata è pura invenzione e racconta esclusivamente la sensazione soggettiva che l’opera ha trasmesso all’autrice.

Ilaria Aversa

Vedi anche: La Germania di Anselm Kiefer: vedere ciò che non si vuole guardare

Ilaria Aversa

Classe 1996, Ilaria Aversa nasce a Sorrento in un lunedì di giugno. Fortemente convinta che la pasta sia il suo unico credo, si è laureata in Storia dell'Arte, dimostrando di sapersi concentrare ed impegnare seriamente, ogni tanto. Ama prendersi poco sul serio, infatti la sua massima più ricorrente è "Almeno sono simpatica". O, almeno, lo spera.
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