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A Christmas Carol: il Natale di Charles Dickens, tra spiriti e fantasmi

A Christmas Carol, conosciuto da noi con il titolo Canto di Natale, è un romanzetto breve dello scrittore inglese Charles Dickens.

Da 175 anni – fu scritto e pubblicato nel 1843 – è fonte di ispirazione per film, spettacoli, letture pubbliche, rivisitazioni, lungometraggi animati, riscritture.

Cosa spinge questa storia ad essere rinarrata nel tempo, in forme e con tecniche diverse? Cosa custodisce di così prezioso? Quale potente suggestione innesca, per conservare intatto il suo successo?

Narrare la trama di questa storia è operazione superflua, senza utilità.
La Walt Disney, instancabile macchina creatrice e ricreatrice, ha reso fruibile ad un pubblico onnivoro e vastissimo il plot di questo capolavoro con i due film animati Disney’s A Christmas Carol del 2009 (diretto da Robert Zemeckis, grande interprete dell’immaginario disneyano) e Canto di Natale di Topolino, il tenero adattamento del 1983 diretto da Burny Mattinson.

È una storia di fantasmi, spettri, avarizia, pentimenti e redenzioni. Una storia tanto semplice, esplicita e “classica”, da potersi permettere di avere come protagonisti topi, cani e paperi antropomorfizzati, parlanti; una vicenda comprensibile e toccante per un pubblico adulto, divertente e rassicurante per bambini e ragazzi.

Ebenezer Scrooge è avaro, materialista, cinico. L’unico suo credo, il solo Nord della sua bussola morale, è il danaro, il “vile”. Gli affetti della sua esistenza sono finiti, appartengono ad un tempo passato, avvizziti come il suo animo. Nel periodo natalizio, il solitario vecchio viene visitato da tre spiriti, tre fantasmi, ognuno portatore di un ricordo, di una memoria, di un messaggio.

Il primo è lo Spirito del Natale Passato, che lo porta indietro, alla sua giovinezza potenzialmente ricca e fiorente (d’amore, s’intende), ai suoi errori e alle sue perdite.

Il secondo è lo Spirito del Natale Presente, che costringe Scrooge a immergersi nella vacuità della sua attuale esistenza, condotta all’insegna della auto-preservazione ad ogni costo, soprattutto dei propri beni materiali.

Il terzo è lo Spirito del Natale Futuro, il quale trasporta un terrorizzato, annichilito Ebenezer direttamente alla sua stessa tomba, forzandolo ad un confronto impossibile, impensabile.

Ebenezer deve interfacciarsi con la morte, la fine di tutto, l’unico vuoto reale ed irrimediabile. E allora comprende, come i protagonisti di molte altre storie con una simile morale, il vero significato della vita. Ebenezer cambia radicalmente, impara la gioia della condivisione, la meraviglia del dare.

La magia è semplice, ma è anche perfetta. Dickens ha intinto una festività “commerciale” nella superstizione, nel mistero, nella metafisica, nella spiritualità, nella psicologia. Ha bocciato il capitalismo e il materialismo a favore della magia, del recupero di un’intangibile suggestione solidale e di fratellanza.

L’essenziale, sembra dirci, è davvero invisibile agli occhi, ma a noi esseri umani serve qualcosa di concreto per ricordarcene. Necessitiamo di un segnale, di un segno riconoscibile universalmente per svegliare le nostre anime sopite. Viviamo in una società industrializzata, veloce, fuggente, nessuno di noi può evitarlo. Ognuno può, però, approfittare di un momento, di uno “spirito” intoccabile e incorporeo manifesto in un’atmosfera, in una coscienza collettiva.

Se per ridestare questo spirito è necessario e funzionale costruirlo attorno ad un preciso periodo dell’anno, ad una festività, per Dickens è sufficiente assemblarlo, dargli corpo, farlo esistere nel cuore dell’uomo moderno: ricordare all’uomo di essere tale.

Un albero addobbato, un camino acceso, un ricco che aiuta un povero, il tepore di una cena in casa mentre fuori imperversa la neve, piccoli regali impacchettati con dedizione; sono tutte immagini bellissime, evocatrici di amore, riunione, generosità, familiarità. In A Christmas Carol abbiamo la creazione e il consolidamento di un immaginario natalizio che è a metà tra il capitalismo moderno e la carità cristiana, un ponte dove la nuova irriducibile società dei consumi può incontrare i valori eterni di bontà, calore, compassione.

Il genio dell’autore britannico sta nella sua azione e nel suo ruolo di connettore tra due prassi e tradizioni ormai distinte, separate. Il nostro, contemporaneo, attuale spirito natalizio non esisterebbe in quanto tale se Dickens non avesse scritto Canto di Natale, se non avesse osato utilizzare la simbologia natalizia emergente mischiandola con quella passata e battezzando la nascita di un nuovo rito.

Insomma, la conclusione può essere sintetizzata così: a Natale abbuffatevi, abbuffatevi di decorazioni, di canzoni, de magnà; ma anche di affetto, di pensiero per l’altro, di comunità. Amatevi, condividete, abbracciatevi. Ricordatevi di essere umani.

Sveva Di Palma
Vedi anche: Un Natale diverso

Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.
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