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Canzoni e parodie

di Federica Auricchio

Nel sud della Francia, tra l’XI e il XII secolo, i trovatori componevano canzoni che menestrelli e giullari cantavano di corte in corte. Questo mondo di cavalieri era fatto di regole a prima vista formato solo da cose belle e romantiche ma non è così.

Parodia amore

Lo possiamo notare fin dal suo fondatore, Guglielmo, che nel suo devinall (indovinello), Farai un vers de dreit nien, parodia l’assurdità della concezione amorosa. Guglielmo scrive questo vers sul puro nulla, composto mentre dorme a cavallo e senza un senso logico.

[Un cavallo bianco, bianco come un velo, via da qui ci porterà…]

In questi versi afferma che non sa niente, non sa se sia felice o triste, estraneo o intimo, sveglio o addormentato e ci informa che ha un’amica ma non sa chi sia perché non l’ha mai vista. Non sa neanche di dov’è ma lui la ama. Forse, il poeta, ironizza sui temi cardine, che lui stesso usa nelle canzoni d’amore della lirica cortese, oppure vuole semplicemente esprimere lo stato di confusione che gli porta amore.

Quello che è sicuro è che, su questa scia, si pone anche Raimbaut in Escotatz, un testo che a prima vista si presenta alquanto sgangherato sia testualmente che metricamente, dato l’accostamento insolito dei versi alla prosa.

Vi capita mai, quando pensate, magari state ragionando sulla vita e sulla morte o state semplicemente decidendo cosa mangiare a pranzo, di collegare le parole pensate alle canzoni? State lì ad annoiarvi con i vostri discorsi logorroici ed ecco che parte nella vostra testa una canzone, poi un’altra e un’altra ancora e ormai siete persi: il concerto è partito, tara tata tatà.

Parodia sui generi

Raimbaut, in Escotatz, si prende gioco delle discussioni sui generi e gli stili, ironizza su sé stesso e, come Guglielmo, non incasella il suo componimento, neanche lui sa cosa sia, ci dice infatti: “non è un vers, né uno strambotto, né sirventese non è, nome non gli so dare“. In questo componimento che “non valuta in poggese“, cioè che non vale nemmeno un soldo, il trovatore insiste, fino alla noia sulla novità del suo esperimento poetico.

[Tutto il resto è noia, no, non ho detto gioia, ma noia, noia, noia maledetta noia…]

Questo caos di versi, che sembrano scritti da un pazzo, sono per una donna che lo sta facendo penare e attendere.

[Je so’ pazzo, je so’ pazzo e vogl’essere chi vogl’io ascite fora da casa mia]

Le parole ti portano via, decidi di scrivere su un quaderno i tuoi pensieri, una tira l’altra, poi inizi a scocciarti ed ecco qui che parte una canzone e non sai più cosa fare. Sembra quasi che ci siano due persone: il cantante e il poeta e, confuso, non sai se continuare a pensare, scrivere, parlare o iniziare a cantare (e poi ti rendi conto che non sai né pensare, né scrivere e tantomeno cantare).

Però ormai la tua testa non fa altro che pensare e cantare, pensare e cantare, cerchi di pensare di più e cantare di meno, ma come si fa? Come in questo caso, l’altra volta si parlava d’amore, un argomento così bello, e mmo’? La parodia? Poi ci credo che uno, tra una canzone occitana e l’altra italiana, si confonde, piglj ‘e se mett a cantà –  je so’ pazzo je so’ pazzo e nun nce scassat ‘o cazz!

Il trovatore si dichiara esplicitamente folle per amore e chiede disperatamente alla amata, che si è presa il suo cuore, di addolcire l’amaro.

[Amore amore, amore amaro, amore mio, amore che potrà fermare solo Dio…]

E MMO’ BAST, E JA, FERNELL E CANTA! M FAI FIRN STO DISCORS? IO QUATTRO COSE VULEV RICER E AMM FATT NA TARANTELL!

[E ja finisci, non ti disturbo più.]

Ritorniamo a noi, in questi versi, con un richiamo a Guglielmo che canta per un’amica che non ha visto e all’amor de lonh (amore di lontano) di Rudel, troviamo proprio un capovolgimento di una tradizione. Raimbaut stravolge spesso i canoni, lo abbiamo visto l’altra volta in Non chant dove sovverte l’esordio stagionale e qui, in Escolatz, fa lo stesso ma con le riflessioni metapoetiche.

Con Guglielmo e Raimbaut abbiamo visto come la lirica trobadorica viene attaccata. Abbiamo scoperto come, questo spazio cortese che nei nostri pensieri sembrava quasi un paradiso terreste, non è poi così magico, eppure dovremmo impararla la lezione tramandata dalle nostre nonne “non è oro tutto ciò che luccica”.
[Hai finito?]

[E mmo’ c putimm fa ‘na canzon?]

E vabbuo’, mmo’ sì, musica maestro!

 [A me me piace ‘o blues e

tutt’e juorne aggio cantà

pecché m’abbruscia ‘o

fronte e ’na manera aggio

sfuca’

 

sono volgare e so che nella

vita suonerò

so blues astregne i diente e

sono mo.

 

Ma po’ nce resta ‘o mare

e a pacienza e suppurtà

‘a gente ca cammina

miezo ‘a via pe’sbraità

vengo appriesso a te

 

pecché so nato cca’

sai che so’ niro, niro

ma nun te pozzo lassà

e sono mo, sono mo, sono mo…]

disegno di Giuseppe Francione

La Redazione

Ciao! Sono la Redazione de La Testata – Testa l’informazione. Quando non sono impegnata a correggere e pubblicare articoli mi piace giocare a freccette con gli amici.
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