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Generazione sandwich: schiacciat(e) tra la cura dei figli e quella dei genitori anziani

Anna è una donna di 55 anni che stamattina è riuscita a sedersi per fare colazione, evento che capita ultimamente molto di rado.

Si è fatta il caffè e si è messa a leggere i titoli dei giornali. Uno in particolare attira la sua attenzione: parla della “Generazione sandwich”.

Scopre che è così che si chiamano quelle come lei, quelle schiacciate tra due generazioni: la precedente e la successiva. Legge che la speranza di vita è aumentata e che i figli invece si hanno sempre più tardi, per cui quando i genitori diventano anziani e iniziano ad aver bisogno di assistenza, i loro figli hanno tra i 30 e i 60 anni e sono ancora impegnati a crescere figli piccoli o adolescenti. Si riconosce nel doppio carico di cura di cui parlano: da un lato una figlia adolescente con tutti i bisogni di un’età tanto delicata e dall’altro una madre non più autosufficiente, malata, che necessita di cure quotidiane.

Nel nucleo familiare è spesso solo una persona a prendersi cura per la maggior parte del tempo di anziani e figli: è un compito prevalentemente femminile che si traduce in un elevato carico mentale per ogni singola donna”.

Che novità, pensa. Non la sorprende affatto leggere che le schiacciate sono più degli schiacciati. Ha caldo, afferra il quaderno degli appunti che Alice ha lasciato sul tavolo della cucina ieri sera e prende a sventolarsi. L’articolo prosegue parlando del multitasking tipicamente femminile, ma Anna ha sempre odiato il concetto. Non crede di essere naturalmente portata per fare più cose contemporaneamente o che abbia una marcia in più, innata, solo perché donna. Crede che sia un fardello mascherato da vanto. Sente di arrancare e dimenarsi a fatica tra tutte le cose e le persone di cui ci si aspetta che si prenda cura solo perché la natura non è stata clemente con lei. 

Poi si parla di Laura Turuani, una psicoterapeuta di Milano che ha addirittura scritto un libro sulle donne come lei. Si chiama proprio: “Le schiacciate”, e racconta tutte le sfide che le donne cinquantenni sono obbligate ad affrontare, per giunta in un momento di grande cambiamento personale, la menopausa. L’insonnia, l’ansia, gli sbalzi d’umore, le vampate di calore e tutto il corredo di cambiamenti biologici di cui si parla sempre troppo poco. Fa ancora più caldo, sventola il quaderno di Alice con più foga di prima.

Una psicoterapeuta, pensa. Quel pensiero la tormenta ogni volta che le sembra che non ci sia abbastanza aria per riempirle i polmoni. Ma poi viene spazzato via perché deve andare a prendere Alice a scuola e poi deve preparare il pranzo per sua madre e imboccarla, pregando che abbia più appetito di ieri. La terapia è un lusso che non si può permettere perché ha troppe cose a cui badare. Ma anche perché la situazione finanziaria è già una tragedia senza bisogno di aggiungervi altre spese. La settimana scorsa è andata in cartoleria con sua figlia a prenotare tutti i libri per l’inizio del Liceo. 

Alice le chiedeva se sarebbe riuscita a farsi delle amiche e se sarebbe stata in grado di restare al passo con la nuova mole di studio, ma le sue preoccupazioni si mischiavano con tutte quelle a cui Anna non sapeva trovare una risposta. Dovrebbe chiedere al suo capo di concederle più flessibilità a lavoro? Ultimamente le sembra che i rapporti si stiano inasprendo sempre di più, per via di tutti i permessi che è costretta a prendere. Potrebbe assumere una badante che la aiuti con sua madre… tirarla su dal divano diventa sempre più faticoso e inizia ad avere problemi con la schiena. Alice la trascina al centro commerciale dopo la cartoleria. Dice che non può presentarsi al Liceo con uno zaino delle medie, deve averne uno che sia più adatto alla sua età. Anna conta i soldi che le sono rimasti nel portafoglio. Pensa che solo due settimane fa ha acquistato un girello per sua mamma, ma lei non riesce a tenersi su e ha bisogno di passare subito alla sedia a rotelle. La malattia avanza velocemente e Anna non era pronta. 

Le medicine, le visite specialistiche, il montascale, le maniglie d’ausilio in bagno e in camera da letto sono tutti oggetti che appartengono a un mondo nuovo in cui è stata catapultata da un giorno all’altro. Le sembra di essere tornata a quando era una neo mamma e doveva imparare a conoscere velocemente tutti gli oggetti necessari per una neonata. La migliore marca di passeggino, i migliori pannolini, le salviette più delicate, lo sterilizzatore e lo scalda biberon. Non ci capiva niente. 

Nell’articolo finalmente si parla del bisogno di un ripensamento del welfare che tenga conto della generazione sandwich: che proponga alternative tra restare in casa propria, assistiti da un parente, e la casa di riposo. Servizi di assistenza domiciliare che funzionino, orari di lavoro più flessibili, congedi per assistenza ai familiari anziani. Leggere “casa di riposo” e “assistenza domiciliare” però le fa venire un senso di nausea alla bocca dello stomaco. Anna lo sa che al Sud questi sono tutti sinonimi di “abbandonare” sua madre. Sa che è esattamente questo che direbbe la gente. Una mezza femmina, una che non è capace a stare dietro a tutto come una vera femmina deve fare. Un’ingrata che ha avuto tutto dai genitori e non è in grado di ripagare quei sacrifici. E in fondo è quello che pensa anche lei, mentre convive con il senso di colpa e l’obbligo di restare in piedi senza barcollare.

Si sente in colpa anche perché l’assistenza di sua madre ricade su Alice. Lo vede quando il viso di sua figlia si rabbuia nel guardare sua nonna stare male e vorrebbe tenerla fuori da tutto, ma non può farcela da sola e il papà di Alice non si lascia mai coinvolgere. Non lo fa perché lavora più di Anna e torna a casa stanco, perché qualcuno dovrà portare il pane a casa quando licenzieranno inevitabilmente sua moglie, perché sono tutte faccende di cui si è sempre occupata lei.

Anna si sente una mamma assente, una moglie incazzata e una figlia vulnerabile che tanto figlia poi non è più, perché si trova a far da genitore a chi un tempo le cambiava il pannolino. Ha sempre avuto un rapporto complicato con sua mamma. Lei è sempre stata una vera femmina. Una tosta, scostante, capace di spaccarsi la schiena senza lamentarsi mai e senza chiedere favori a nessuno. Ora sembra piccola piccola. L’espressione del viso si sforza di preservare la durezza di un tempo, ma gli occhi sono diversi. La sfrontatezza non si addice bene a chi deve chiedere aiuto anche per le azioni più insignificanti. Anna non sa bene perché, ma vederla fragile la fa vergognare

Da un lato una figlia che chiede più autonomia, dall’altro una mamma che la perde. Una vita che si forma e l’altra che si spegne. Come si fa a modularsi, a rapportarsi con l’una e con l’altra? Due mondi opposti che la confondono, la schiacciano. Quante persone diverse deve essere ogni giorno? Quante donne servono per farsi carico di tutto? 

E soprattutto, mentre le vite di tutti dipendono da lei, cosa ne è della sua? L’ha messa in pausa, si dice. Per quanto? Che ne è delle vacanze, le ferie, gli svaghi, il tempo libero, i progetti futuri… 

Chiude il giornale. È tardi. Afferra il cappotto ed esce.

La tazzina di caffè ancora piena, sul tavolo della cucina. In sospeso.

Simona Settembrini

Copertina Generata con AI

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Simona Settembrini

Simona Settembrini, classe 2001, laureata in “Culture Digitali e della Comunicazione”. Per descrivermi al meglio, direi che l’amore, in qualunque sua forma, è sempre al primo posto nella mia vita. Scrivo perché mi aiuta a rendere il mondo meno confuso e per mettere nero su bianco le mie emozioni e quelle degli altri, perché in fondo sono tutte uguali.
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