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Il respiro delle cose: viaggio nella sound art italiana

La sound art può cambiare il nostro modo di ascoltare il mondo? Nel cinema italiano esiste una scena che racconta, meglio di qualsiasi manifesto, cosa significhi davvero ascoltare.

Nel film Il Postino, ultimo capolavoro interpretato da Massimo Troisi, in pochi minuti Mario cattura i suoni dell’isola di Procida per inviarli a Pablo Neruda: un gesto che trasforma ciò che ascolta in arte sonora. Le onde del mare che si frangono, il vento che accarezza la scogliera, le campane. Persino il “rumore” del cielo e il battito del cuore di Pablito. 

È un’azione semplice e radicale di chi sceglie di ascoltare invece di guardare, affidando alla vibrazione acustica ciò che non può essere detto. Un “campionamento” poetico e quasi profetico. In quell’ultimo momento, Mario scopre che ascoltare significa accogliere il mondo. Un’intuizione che ritroviamo oggi in ciò che chiamiamo sound art.

Cos’è la sound art: suono, spazio, percezione

La sound art è una forma d’arte che utilizza il suono come medium principale. Le sue radici affondano nel Novecento: pionieri come John Cage, con il celebre 4’33” del 1952, dimostrarono come silenzi e rumori ambientali possano diventare materia artistica. Successivamente, artisti come Laurie Anderson e Alvin Lucier hanno ampliato i confini della disciplina, integrando il suono in installazioni, performance e opere multimediali.

Nell’arte occidentale, i primi esperimenti risalgono agli Intonarumori (1913) di Luigi Russolo, compositore futurista italiano. Negli anni successivi arrivano i contributi dei dadaisti, dei surrealisti e dell’Internazionale Situazionista, fino agli eventi Fluxus e agli happening delle avanguardie. 

La sound art si sviluppa poi lungo linee di confluenza con l’arte concettuale, il minimalismo, l’arte site-specific, la poesia sonora, la musica elettroacustica, la spoken word, la poesia d’avanguardia, la scenografia sonora e il teatro sperimentale. La sua natura ibrida ha generato dibattiti sulla sua appartenenza all’arte visiva, alla musica sperimentale o a entrambi i domini.

Come ricostruisce Maurizio Chiantone, sound designer e docente all’Accademia di Belle Arti di Lecce, nel volume Sound Art. Percorsi della creatività, la sound art si colloca oggi all’incrocio tra musica, tecnologia e arti visive, offrendo esperienze immersive e multisensoriali.

Diversamente dalla musica tradizionale, non si sviluppa solo nel tempo, ma anche nello spazio. Il suono diventa materia da abitare, spazio da percepire e progettare: un invito all’ascolto fisico, attivo e consapevole, dove ogni installazione richiede attenzione al luogo e al contesto sociale e culturale.

Una lunga migrazione: dalle radici storiche alla scena contemporanea

Se il secolo scorso ha gettato le basi teoriche e sperimentali della sound art, è dagli anni ’60 in poi che la disciplina assume forma autonoma. A New York dialoga con il minimalismo e gli spazi sperimentali come The Kitchen; in Germania, istituzioni come lo ZKM di Karlsruhe trasformano il suono in materia di ricerca tecnologica e media art.

Negli anni ’90, con la rinascita delle grandi città post-industriali, la sound art si intreccia con club culture, elettronica ed estetiche digitali: la dimensione partecipativa e relazionale prende spazio, aprendo a pratiche immersive, interattive e ambientali.

Oggi la scena internazionale si muove lungo tre direttrici principali. Ci sono le installazioni site-specific, che trasformano l’architettura in paesaggio sonoro e fanno entrare il visitatore dentro l’opera; le pratiche di field recording, che esplorano territorio e memoria, dimostrando che registrare il mondo non è mai neutro; e le composizioni ambientali, che uniscono tecnologia, percezione e spazio in vere e proprie geografie dell’emozione.

Una scena italiana in movimento


In Italia, la sound art cresce per costellazioni urbane, ciascuna con sensibilità proprie: Milano con musei e gallerie che sperimentano linguaggi immersivi e media art; Torino con l’eredità post-industriale e l’attenzione alla tecnologia e allo spazio; Bologna con università, collettivi e istituzioni che indagano il paesaggio sonoro come pratica critica; Roma con musei e gallerie sempre più aperti all’installazione acustica come strumento narrativo e immersivo; Napoli, tra Accademia e spazi indipendenti, lavora sul suono come gesto sensoriale e urbano, radicato nella città.

Festival come il Video Sound Art Festival di Milano e Spring Attitude a Roma mostrano quanto questa disciplina si sia radicata come linguaggio maturo e partecipativo, mentre musei e centri sperimentali aprono sempre più spazio alle installazioni sonore, rendendola accessibile a un pubblico ampio e curioso. 

A guidare la ricerca è soprattutto una generazione under 40, che fonde corpo, voce e tecnologia in performance sensoriali, costruisce installazioni interattive capaci di reagire allo spazio, registra paesaggi sonori urbani e territori lontani, e realizza opere ibride tra suono, video, architettura e partecipazione. Questo approccio trasforma la sound art in un linguaggio totale e immersivo, aperto a tutti, capace di attraversare musica, arte visiva e cultura digitale.

Gallerie Sonore: quando il museo si fa suono

Tra i progetti più innovativi c’è Gallerie Sonore, iniziativa delle Gallerie d’Italia in collaborazione con Davide Boosta Dileo dei Subsonica. Il progetto trasforma le sale espositive in veri e propri paesaggi sonori: ambienti immersivi e site-specific dove le opere visive diventano partiture e lo spazio museale si fa ecosistema acustico. Milano, Napoli, Torino e Vicenza ospitano le tappe di questo format, dimostrando che la sound art può entrare nel mainstream culturale senza perdere profondità e complessità.

Napoli e la Campania: geografie che vibrano

Contesto e città – La Campania è oggi uno dei territori più fertili per la sound art italiana. Napoli mescola storia, stratificazione urbana e sensibilità sonora in modo naturale, dando vita a un ecosistema sonoro unico. Tra le figure più rilevanti si distinguono Roberto Pugliese, che trasforma spazi urbani e museali in organismi vibranti; Vincenzo Gallo, autore dell’installazione permanente EUS – Ecosistema Unico Sonoro sul Vesuvio; e Giuseppe Pisano, attivo nelle pratiche elettroniche e noise radicali.

Protagonisti e rassegne – Tra gli esempi più significativi di ricerca sonora collettiva ci sono:

  • Geografie del Suono dellEx Asilo Filangieri, che mescola performance, residenze artistiche, improvvisazione e interventi site-specific;
  • NapoliSoundscape, nato nel 2013 presso il Conservatorio San Pietro a Majella, un archivio acustico della città che raccoglie registrazioni di strade, piazze, mercati, trasporti e “rumori in via di estinzione”, restituendo il “rumore di fondo” come patrimonio culturale;
  • OEAS – Officina Arti Soniche, fondata nel 2014 sempre al Conservatorio da Elio Martusciello, un’orchestra elettroacustica orizzontale in cui cento musicisti collaborano senza gerarchie, tra improvvisazione collettiva e ascolto attivo.

In Campania, la sound art non è solo arte: è ricerca, innovazione, vitalità urbana e pratica culturale, un modo concreto di trasformare la città in un paesaggio sonoro vivo e condiviso.

Soundwalk: ascoltare la città come orchestra 

La sound art richiede una sola cosa: ascoltare. Non servono strumenti complessi o teorie sofisticate, basta lasciarsi attraversare da vibrazioni, silenzi ed echi spesso ignorati. Come Mario ne Il Postino, dobbiamo imparare a captare ciò che sfugge allo sguardo: frequenze impercettibili, rumori di fondo, respiri della città e della natura. Ogni suono diventa dato sensoriale, ogni spazio un ambiente immersivo da esplorare; l’ascolto si trasforma in una mappa acustica che connette ambiente, memoria e percezione.

Un esempio concreto arriva da Garibaldi Urban Orchestra di Napoli, una delle azioni del progetto Bella Piazza, promosso da Est(ra)Moenia con il sostegno di Fondazione Con il Sud e una rete di enti e associazioni. Ideato dal collettivo Pessoa Lunapark, il percorso ha invitato cittadini e viaggiatori a registrare i suoni di Piazza Garibaldi, trasformando lo spazio urbano in un laboratorio d’ascolto condiviso. Le tracce raccolte diventeranno materia sonora di un’installazione collettiva in programma dal 12 al 14 dicembre nella Cavea, con otto “strumenti fantastici” che reagiscono al movimento del pubblico e amplificano il respiro nascosto della piazza.

In fondo, è lo stesso gesto di Troisi ne Il Postino, portato nel presente: ascoltare per raccontare. La sound art diventa così un ponte tra realtà e percezione, un flusso vibrante in cui l’ascolto si trasforma in pratica quotidiana, tecnologia, memoria e futuro.

Roberta Aurelio

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Roberta Aurelio

Roberta Aurelio – Comunica, scrive e respira cultura. Giornalista pubblicista (in progress), appassionata di storie fuori fuoco, concerti sudati e manifesti sbiaditi. Colleziona vinili, parole e istanti analogici. Ama i dettagli e la luce giusta. Rifiuta ingiustizie e condanna i soprusi. Quando scrive, intreccia pensiero critico e sensibilità poetica. Vive a Napoli, con lo sguardo altrove.
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