L’arte della sostenibilità: come gli artisti contemporanei interpretano il cambiamento climatico

Nell’ultimo decennio, la sostenibilità è uscita dai confini delle discipline scientifiche per entrare con forza nella cultura visiva. Oggi l’arte contemporanea non si limita a raccontare la crisi climatica: la mette in scena, la analizza e la interroga, trasformando materiali, tecniche e istituzioni.
È un cambiamento che procede su due binari paralleli. Il primo riguarda l’estetica: le opere diventano strumenti di sensibilizzazione e atti politici. Il secondo, più silenzioso ma altrettanto radicale, riguarda le pratiche produttive e l’impatto ambientale di un settore globale che ha iniziato a misurare le proprie emissioni.
In questo scenario si inserisce il recente Five-Year Review of Climate Action in the Visual Arts della Gallery Climate Coalition (GCC), la rete internazionale nata nel 2020 per aiutare musei, gallerie e fiere a ridurre drasticamente la propria impronta di carbonio. I dati raccontano un settore in trasformazione: l’80% dei membri GCC ha già ridotto le emissioni di oltre un quarto, mentre le stime indicano che il comparto dell’arte visiva potrebbe contribuire a tagliare fino a cinque milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno. Numeri che mostrano come l’arte, spesso letta come territorio simbolico, possa diventare un attore concreto della transizione ecologica.
Le criticità restano, e sono chiare: spedizioni, viaggi aerei, climatizzazione degli spazi espositivi. Queste tre voci rappresentano fino al 95% delle emissioni di molte istituzioni culturali. Eppure, gli esempi virtuosi non mancano. Christie’s London, grazie a politiche di viaggio più sostenibili, alla riduzione dei cataloghi cartacei e al passaggio alle energie rinnovabili, ha tagliato le proprie emissioni del 69% in cinque anni. Una trasformazione che, come ha ricordato Frances Morris, presidente della GCC ed ex direttrice della Tate Modern, definisce ora la responsabilità culturale e politica del settore: “I prossimi cinque anni diranno quale eredità lascerà il mondo dell’arte nella transizione climatica”.
Parallelamente, gli artisti stanno reinventando la relazione tra creatività e ambiente. La spinta non arriva solo dalla necessità di ridurre l’impatto delle opere, ma dalla volontà di affrontare la crisi ecologica come questione narrativa, estetica e sociale. La scelta dei materiali diventa così una dichiarazione. Le pitture a base d’acqua e i pigmenti naturali sostituiscono solventi tossici; le sculture prediligono materiali di recupero; le installazioni sono progettate per essere smontate, riutilizzate o riciclate. In alcuni casi i materiali sono vivi: piante, funghi, elementi organici che rendono l’opera parte di un processo naturale, non di un ciclo di rifiuti.
Questa attenzione non è un fenomeno isolato. Le ricerche contemporanee dialogano con movimenti italiani del secondo Novecento che, pur in tempi non sospetti, avevano intercettato il legame tra arte e ambiente. L’Arte Povera, con la sua attenzione alla materia naturale, ai cicli dell’energia e alla fragilità dei processi vitali, rappresenta oggi una sorta di preludio all’ecologia culturale. La Transavanguardia, nel suo ritorno alla manualità e alle simbologie arcaiche, aveva già suggerito la possibilità di ricucire la frattura tra uomo e habitat. Non stupisce che luoghi come le Alpi, territori plasmati dal limite, dalla misura, dalla responsabilità condivisa, diventino laboratori ideali per nuove forme di creatività sostenibile.
Il dialogo internazionale conferma una convergenza crescente: Italia, Nord Europa e mondo anglosassone stanno elaborando un linguaggio comune che mette al centro il cambiamento climatico come tema e come metodo. L’arte del riciclo, il riuso dei materiali di scarto, la sperimentazione con tecnologie a basso impatto diventano pratiche diffuse. Al tempo stesso musei e gallerie misurano le proprie emissioni e ripensano la logistica delle esposizioni, dall’illuminazione al trasporto delle opere, fino alle politiche di prestito internazionale.
L’arte contemporanea non pretende di risolvere la crisi climatica, ma contribuisce a interpretarla. Innesca domande, solleva tensioni, tenta nuove vie. Racconta che la sostenibilità non è un vincolo, ma una lente attraverso cui ripensare la creatività. E mostra che ogni scelta, dal pigmento al packaging, dal volo aereo evitato a un allestimento più leggero, può diventare un gesto politico.
In un’epoca in cui la transizione ecologica richiede non solo tecnologie ma immaginazione, il mondo dell’arte sta indicando un principio semplice e potente: creare significa anche prendersi cura. E ogni opera, oggi più che mai, può essere un atto di responsabilità verso il pianeta che la ospita.
In fondo, come ricordava il pittore tedesco Paul Klee, l’arte non riproduce ciò che è visibile: lo rende visibile. E oggi ciò che chiede di essere visto, e compreso, è il fragile destino del nostro pianeta.
Riccardo Pallotta
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