L’eros giovanile nelle opere di Balthus

Balthasar Kłossowski de Rola, in arte Balthus, è forse uno dei pittori più controversi ed enigmatici del Novecento. Tra i protagonisti delle sue opere si annoverano adolescenti sospesi tra infanzia e maturità, figure che hanno generato scandalo e, al contempo, una profonda fascinazione.
Questi soggetti, spesso colti in pose composte e silenziose, immersi in interni dalle luci morbide e sospese, sembrano appartenere a un tempo sospeso, dove innocenza e desiderio si sfiorano senza mai fondersi del tutto. Dietro quell’apparente calma, tuttavia, si cela un universo di tensione erotica e ambiguità psicologica, in cui l’artista si scontra con i limiti estetici, morali e umani della rappresentazione. Il tema è, inevitabilmente, delicato.
Come osserva Jean Claire nel volume La storia e l’immagine dell’Eros pubblicato su ES nel 1985:
«a quindici o sedici anni il corpo, non ha più le pieghe e le rotondità dell’infanzia, ma non è ancora sottomesso alla differenziazione sessuale che ne accentuerà in modo diverso le proporzioni. Si trova in quello stato di effimero equilibrio che lo fa giungere alla pienezza: pienezza carnale dei suoi volumi, pienezza sensibile dell’androgino. Elastico e fermo, il corpo assapora con innocenza un’unità indifferenziata».
Balthus sembra compiere un passo indietro nel tempo, tornando all’epoca in cui i filosofi consideravano l’adolescenza come l’apice della bellezza del corpo umano, momento di perfezione fugace e idealizzata. I suoi modelli, fonte di scandalo per la giovane età, diventano simboli di una bellezza inquieta e inaccessibile. La grandezza di Balthus sta, a mio parere, nel rappresentarli immersi in gesti quotidiani ma con una tecnica di rappresentazione tale (quindi luci, geometrie, sguardi, pose) tale da trasformare ogni scena domestica in un piccolo dramma metafisico. Tra i motivi ricorrenti spicca quello della giovane donna allo specchio, un tema carico di valenze simboliche. L’atto di guardarsi allo specchio non è solo il simbolo della vanità, ma è un rito di riconoscimento e separazione da sé, un momento in cui il soggetto si scopre oggetto. Così lo specchio diventa per Balthus un confine tra la contemplazione della bellezza e la rivelazione dell’inquietante.
Nel dipinto I bei giorni una giovane donna viene rappresentata immersa nel proprio riflesso: da questa immagine prenderà corpo il tema della toilette femminile, che per Balthus non si riduce alla sensualità ma rappresenta una ricerca di verità pittorica. L’artista si dichiara fedele alla concezione classica del bello, basata sull’osservazione del vero e vede il nudo femminile non tanto come un soggetto erotico, ma come un veicolo privilegiato della pittura stessa. Lo specchio, nelle opere di Balthus, non deforma la realtà, semmai la conferma, la duplica e la fissa.
Ma dietro questa ricerca formale nel corso del tempo la critica ha avvertito una tensione violenta e ambigua: una volontà di possedere il corpo attraverso la pittura, di piegarlo alle regole del canone estetico che cela anche desiderio e dominio. L’eros di Balthus, osservando le opere, non è mai troppo esplicitamente dichiarato, ma si cela come una corrente sotterranea, che trasforma quasi la contemplazione dell’opera in turbamento. Non è un caso che le più grandi opere della storia dell’arte occidentale siano anche opere erotiche: non per cosa viene rappresentato, ma per come il corpo viene rappresentato sulla tela.
Tra le opere più controverse ed emblematiche spicca La lezione di chitarra (1934). Una scena domestica si trasforma in una potentissima allegoria di desiderio e potere dello sguardo: non osserviamo qui una semplice lezione di musica, ma anche un momento di altissima eroticità in equilibrio tra bellezza e inquietudine. L’opera di Balthus invita a riflettere sui limiti della visione, sul rapporto tra arte, eros e innocenza perduta.
L’autore dipinge l’attimo in cui la grazia si fa pericolo, e in questo spazio ambiguo – tra pudore e rivelazione – risiede la vera forza del suo atto pittorico.
Roberto Spanò
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