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Cosa non abbiamo ancora analizzato di e su Zohran Mamdani?

La recente elezione di Zohran Mamdani a sindaco di New York City (carica che assumerà il 1 gennaio 2026) segna più di un semplice cambio alla guida della città: rappresenta l’emergere di nuove dinamiche socio-politiche nella metropoli e – seppure non uno specchio identico dell’intero panorama americano – un indicatore rilevante per comprendere alcune trasformazioni in atto nell’elettorato urbano.

In questo articolo analizzeremo sei elementi chiave: la sua origine sociale e la proposta politica, il contesto di trasformazione sociale americana che rappresenta, le letture critiche estreme del suo profilo, le difficoltà pratiche del suo programma, l’uso della comunicazione e dell’identità nella sua vittoria, e infine le implicazioni interne al Democratic Party. 

Chi è Zohran Mamdani e come avviene la sua ascesa? Due quesiti che non sono dettagli

Zohran Mamdani nasce nel 1991 a Kampala, Uganda, da genitori di origini indiane (la madre è la regista di fama internazionale Mira Nair, il padre il politologo e accademico Mahmood Mamdani). La sua formazione, inserita in contesti intellettuali e cosmopoliti, lo colloca più come un esponente della “classe dirigente emergente” che come un outsider radicale proveniente dai margini.

Sotto questa luce, la sua campagna elettorale – centrata su proposte quali affitti congelati nelle unità a canone stabilizzato, trasporto pubblico gratuito o fortemente sussidiato, supermercati comunali a prezzi accessibili, salario minimo di 30 $ l’ora entro il 2030, aumento delle tasse per le grandi imprese e per chi guadagna sopra 1 milione $ – tenta di collocarsi come tutela del ceto medio urbano e della “classe media sotto pressione”, piuttosto che una pura rivendicazione esclusiva dei più poveri.

È importante evidenziare che questo profilo – benestante per nascita e con pedigree accademico-culturale – differisce da quello del “rivoluzionario” tradizionale in difesa esclusiva degli strati più svantaggiati. In effetti, gran parte degli elettori più poveri – in particolare nei quartieri a maggior presenza afroamericana e latinoamericana – non ha votato per lui in massa, ma ha preferito altri candidati (su tutti Andrew Cuomo) o si è astenuta. Da qui nasce un primo elemento di tensione: come può un figlio dell’upper class proporsi a tutela della classe media e sociale urbana, senza che ciò risulti incongruo o percepito come un approccio attuato “dall’alto”?

La sua identità politica risulta dunque ambigua ma strategica: da un lato sostiene la dignità sociale e finanziaria, promettendo una città più accessibile; dall’altro, non si pone come campione esclusivo dei “poveri” (per i quali non ha ricevuto una adesione di massa predominante), bensì come interprete di un blocco urbano in cui classe media, professionisti, lavoratori urbani e nuovi ceti si sentono sotto pressione. Questa distinzione è cruciale per capire la sua vittoria ed evitare la lettura semplificata di “populismo rivoluzionario”. 

Mamdani come specchio della trasformazione sociale degli Stati Uniti, non solo di New York.

La vittoria di Mamdani può essere letta come segnacolo di una metamorfosi sociale negli Stati Uniti: un’élite urbana cosmopolita, una generazione millennial, un’identità multietnica e multiculturale che diventa competitiva politicamente e attraente nell’elettorato. La campagna di Mamdani ha saputo mobilitare giovani, comunità diverse (immigrati, persone di ogni etnia o appartenenti alle comunità Queer ed LGBTQ+), e ha utilizzato strumenti digitali e social-media per comunicare.

Questo tipo di successo suggerisce che anche in ambienti urbani “storici” del potere (come New York), figure che un tempo non avrebbero avuto presa sulla maggioranza dell’elettorato (millennial, immigrati, socialisti democratici) oggi possono prosperare. In questo senso, Mamdani è parte di un cambiamento generazionale e socioculturale: l’urbanizzazione, la diversità, la contrazione del ceto medio, la crisi degli alloggi, l’aumento del costo della vita, spingono verso soluzioni “nuove”.

Tuttavia, va sottolineato che New York non è l’America intera. Il profilo demografico, socio-economico, culturale della «Grande Mela» è molto particolare: elevata diversità, forte presenza della classe creativa, mercato immobiliare estremo, peso del settore finanziario, tassi di istruzione elevati. Come molti osservatori sottolineano, «New York è un caso a parte». Perciò, l’analisi della vittoria di Mamdani va limitata al contesto della città – e non automaticamente esportata come modello degli USA in toto.

In questo quadro, il suo successo assume valore come “laboratorio urbano” di come un blocco sociale metropolitano può reagire alle disuguaglianze, alla precarietà e al cambiamento generazionale. Ma i meccanismi perché ciò avvenga altrove potrebbero funzionare in modo diverso: la forza dei sindaci urbani, la composizione dell’elettorato, il costo degli alloggi e le questioni razziali assumono in ciascuna città dimensioni differenti. 

Le difficoltà oggettive del suo programma: affitti, redistribuzione ma, soprattutto, rapporto col realismo

Mamdani ha presentato un programma politico ambizioso: congelamento o forte controllo degli affitti delle unità a canone stabilizzato, autobus gratuiti, supermercati comunali, salario minimo a 30 $ all’ora entro il 2030, aumento delle tasse su corporation e grandi redditi.

Tuttavia, la realizzazione di queste misure in una città come New York si scontra con numerose difficoltà: il mercato immobiliare di New York è globalizzato, soggetto a investimenti internazionali e speculazione, con il sistema di affitti che risulta complesso. Congelare quest’ultimi ed imporre su di essi drastici controlli richiede normativa statale e capitolare, non solo comunale. Inoltre, la sola ipotesi di rendere i trasporti gratuiti implica un notevole onere per il bilancio municipale e una ridefinizione dei rapporti con lo Stato di New York e con il governo federale: chi coprirebbe i costi? Quali linee si collegherebbero gratuitamente? È anche da considerare che i supermercati comunali (city-owned grocery stores) richiedono capitale, know-how gestionale, e rischiano di diventare “iper-politici” o poco efficienti e ritenuti poco credibili dai grandi operatori della filiera alimentare, in caso di effettiva entrata in vigore del programma del nuovo sindaco. Inoltre, le promesse di redistribuzione richiedono tempo e consenso politico: l’aumento delle imposte per i grandi redditi e corporation può incontrare forti resistenze, e la città deve comunque mantenere stabilità finanziaria, attrarre investimenti e non vedere fuga di aziende.

Da anni New York è sotto pressione: ha un bilancio pubblico in crisi, disuguaglianze economiche elevate, infrastrutture datate, costi sociali importanti. Trasformare la retorica in risultati tangibili richiederà comunque anni di lavoro e compromessi.

Quindi, pur essendo stata la sua una campagna arricchita di slogan efficaci (“freeze the rent”, “affordable for all”), la fase di implementazione è quella cruciale e più incerta. Occorre monitorare quali priorità concrete verranno finanziate, quali verranno ridimensionate, e come Mamdani gestirà i vincoli di bilancio e le pressioni degli stakeholders (finanza, immobiliare, corporazioni, sindacati). In questo senso, la sua vittoria rappresenta un potenziale di cambiamento, ma non la garanzia automatica che il programma sarà realizzato in forma piena. 

Comunicazione, identità e mobilitazione: il “fenomeno” Mamdani

Un tratto distintivo della campagna di Mamdani è stata l’adozione di modalità comunicative moderne e la costruzione di un’identità che risuona con un nuovo elettorato urbano. È stato capace di trasmettere messaggi in più lingue (urdu, arabo, spagnolo) per intercettare le comunità multietniche della città.

Inoltre, ha puntato sull’elettorato giovanile, su una presenza digitale efficace, su narrazioni identitarie (musulmano, figlio di immigrati, millennial) ma anche su temi concreti (alloggi, costi della vita) che toccano direttamente la quotidianità dei newyorkesi. I commentatori lo paragonano alle campagne di Barack Obama (2008) o di Alexandria Ocasio Cortez: “capire perché avete smesso di credere nei democratici” è stato uno slogan ricorrente. Questo fenomeno va visto sotto due angolazioni:

in primis, la motivazione e mobilitazione di settori “non tradizionali” dell’elettorato: giovani, immigrati, persone che non si vedevano più rappresentate dai modelli politici esistenti.

In secondo luogo, la costruzione identitaria: lui non è solo un politico, è un simbolo di cambiamento sociale, di nuova generazione, di diversità. Questo conferisce un bonus comunicativo importante, ma può anche generare aspettative elevate e tensioni qualora il governo risulti “normale” o compromesso.

In altre parole, la vittoria è stata ottenuta anche grazie a strumenti e linguaggi che vanno oltre la tradizionale elezione municipale, e ciò segnala un cambio nei “metodi” della politica urbana negli USA.

Implicazioni per il Partito Democratico e limiti nazionali

Un ultimo elemento riguarda le conseguenze interne al Partito Democratico. La vittoria di Mamdani non altera in modo diretto l’equilibrio tra democratici e repubblicani a livello nazionale (la città di New York è un bastione democratico da molto tempo), ma rappresenta un forte segnale all’interno del partito stesso: l’ala progressista, urbana, giovane, riesce a imporsi su candidati più tradizionali (come Andrew Cuomo, che aveva alle spalle un lungo percorso politico). L’ex governatore è stato battuto nelle primarie e poi anche alle elezioni generali.

Va inoltre sottolineato che Mamdani non può candidarsi alla presidenza degli Stati Uniti, essendo nato all’estero e naturalizzato – la Costituzione statunitense richiede che il presidente sia “natural born citizen”. Corriere della Sera Questo limita il suo potenziale ruolo a livello nazionale e ne circoscrive l’impatto politico nazionale più a livello simbolico che operativo.

Inoltre, la vittoria ha implicazioni per l’establishment democratico: alcuni settori lo hanno avversato, altri lo hanno sostenuto tardivamente (ad esempio leadership del partito, sindacati, big donor). La sua affermazione segnala che la politica municipale può essere un laboratorio di nuove leadership che prosperano al di fuori dei circuiti tradizionali del partito. Ciò può generare tensioni interne: tra moderati e progressisti, tra élite del partito e nuovi attori urbani.

Infine, data la debolezza dei repubblicani in New York, l’impatto sul bilancio dei due partiti statali è modesto rispetto a uno scenario nazionale. Però il segnale è chiaro: il Democratico urbano può vincere con un messaggio di rinnovamento e identità diversa dal passato.

La vittoria di Zohran Mamdani come sindaco di New York rappresenta un caso complesso, che intreccia origini sociali, identità culturale, comunicazione digitale, promesse radicali e limiti reali dell’amministrazione urbana. Non si tratta di un “rivoluzionario dei poveri” nel senso classico, bensì di un esponente della nuova classe urbana-americana che propone un’agenda a tutela del ceto medio urbano e dei nuovi settori sociali sotto pressione. Il suo successo riflette trasformazioni sociali in atto nelle grandi città americane, ma va interpretato con cautela quando lo si vuole esportare all’intero Paese. Le critiche catastrofiste che lo dipingono come minaccia identitaria appaiono largamente esagerate – ma le aspettative create sono elevate. Il vero banco di prova sarà l’attuazione del suo programma ambizioso in una città complessa come New York, con vincoli di bilancio, poteri limitati, e una gestione urbana già segnata da ineguaglianze e disuguaglianze. Infine, all’interno del Partito Democratico la sua affermazione rafforza l’ala progressista urbana e pone interrogativi sul futuro della leadership nazionale, in una fase storica in cui la forza politica affronta difficoltà nel creare e promuovere un’alternativa credibile e vincente a Trump ed al trumpismo.

TOMMASO ALESSANDRO DE FILIPPO

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Tommaso Alessandro De Filippo

Napoletano, classe 2000, laurea in Scienze della Comunicazione. 25 anni, decisamente pochi per conoscere il mondo ma abbastanza per sognare di capirlo, viverlo e, nel frattempo, provare a studiarne ogni dinamica. Ritengo non si possa focalizzare lo sguardo solo sui confini interni al proprio Paese ma sia fondamentale guardare anche e soprattutto all’estero ed a tutto il resto del pianeta che circonda, condiziona ed influenza le nostre vite quotidiane. È da questo pensiero che si è strutturata la mia passione per la politica estera, che su La Testata provo ad intersecare con la scrittura delle storie, presenti e passate, della mia città o di questa società malsana che abitiamo e dobbiamo tutti provare a cambiare in meglio. Leggetemi, se volete. Mi aiuterà a sentirmi apprezzato e validato. Criticatemi, se potete. Mi aiuterà a migliorare, per me stesso e la collettività.
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