NO TIME NO SPACE: una chiacchierata con Clelia Castellano

È tardi! É tardi!
Questo è quello che penso mentre, con la mia scassomobile, cerco un posto su Corso
Vittorio Emanuele, una delle strade meno facili da gestire di Napoli.
Effettivamente non è tardi, ma la mia paura è di non trovare un buchetto dove inserirmi,
uno spazio che mi consenta di:
- cercare il luogo dove sono diretta,
- permettermi di sbagliare strada,
- arrivare in orario, come amo fare.
Invece, per una volta, le cose vanno come devono andare. Con una mossa felina, mi
infilo in un posto fatto a misura per me, parcheggio e mi avvio.
Guardo l’orologio in continuazione, sono abbastanza simile al Bianconiglio di “Alice nel paese delle meraviglie”, mi agito: purtroppo sono fatta così.
E invece, a caveci e a muzzecate, raggiungo la vetta a cui sono diretta, le aule del polo didattico Suor Orsola Benincasa, dove, tra un corridoio colorato e l’altro, immersa tra disegni di piante e fiori,
dettagli super curati e stanze ancora da scoprire, mi sta aspettando una nuova amica: Clelia.
Clelia Castellano ed io ci siamo conosciute al “Campania libri festival”, io portavo una maglia di Marx, ero conciata male, sudata e bagnata dalla pioggia. La prima cosa che mi ha detto è stata: – Bella maglietta! – Per poi osservare che un uomo nella sala sembrasse scappato da quest’ultima. Ci siamo immediatamente prese, con quella verve che ci è sembrata familiare o anticipataria di un momento di vita diverso.
Tutto questo per raccontarvi che cosa? Una piccola storia di affetto, un presente nei confronti di ciò che sia a Clelia che a me sta particolarmente a cuore: l’educazione, l’istruzione e i luoghi in cui possiamo operare tutto ciò.
Sono proprio i luoghi al centro della discussione, la bellezza nel passare da un posto
grigio a uno colorato, una mini-ricetta per trovare un posto nel tempo e nello spazio
delle nostre vite che, correndo correndo, si dimenticano di avere un valore. Proprio così, in una prima parte del nostro incontro, entro in varie aulette, nelle quali si respira una bella aria di scambio reciproco. Mi colpisce il laboratorio d’arte e vorrei tanto sedermi su queste piccole sedie sognanti. I bambini hanno creato una sedia che fosse a propria misura, chi con le ali, chi di Barbie, chi con un manubrio per pilotarla.
“Sederini felici, bambini felici!”, dice Clelia ridendo, ma più seriamente di quanto possiate immaginare, ed effettivamente ha ragione: un ambiente confortevole, un ambiente stimolante, rende anche i nostri piccoli, il nostro futuro di conseguenza, più felici di andare a scuola, apprendere e sperimentare, qualche cuscino, un progetto che renda le sedioline sognanti e a scuola si può andare con un bel sorriso. Infatti, non manca di colpirmi, sempre nell’aula d’arte, questo grande murale, “Monet in Scozia” è
intitolato, senza spazio e senza tempo. Un castello bellissimo, quello di Eilean Donan in “Highlander”, mixato con i colori e i tratti dell’Impressionismo. Proprio da qui, da questa parete che ci comunica un luogo senza spazio e un tempo senza lancette, partiamo con il conoscere Clelia.
Clelia Castellano è coordinatrice didattica e Preside alle scuole secondarie di primo grado Suor Orsola Benincasa, Professoressa associata di Sociologia presso l’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola. Un profilo che col tempo si è arricchito di pubblicazioni e traguardi, ma che io, ora, voglio provare a raccontare secondo quello che è trasparso ai miei occhi.
Ho letto il suo testo “No Time No space”, Come gli spazi si fanno luoghi (www.guerini.it)
e ne ho tratto estremo godimento, tanto da volerne parlare con lei.
Ma partiamo dai luoghi: il suo ufficio è pieno di arzigogoli colorati, frasi motivazionali e una teiera che cattura la mia attenzione. Ci sono due porte, una per i grandi e una per i minuscoli, non per i bambini in sé, ma immagino per le creature magiche che lei stessa desidera far entrare all’interno della sua sfera quotidiana. C’è scritto: MINISTERO DELLA MAGIA, mi fa davvero sorridere.
Gironzolo con lei tra le aule, ci sono colori, effetti visivi che rendono gli spazi più creativi, pareti da dipingere e dipinte. Un ordine evidente che, però, custodisce il caos dei giovani e delle giovani che lo abitano. Perché è questo che Clelia desidera portare alla luce “la nudità dei luoghi perché asilo del corpo e della parola”.
Mi dice così e io ci penso molto, quindi le chiedo: – Io sono una docente, tu lo sei, qui siamo in un istituto
in cui è evidente la volontà di ricreare uno spazio a misura di bambini, bambine, ragazzi
e ragazze, ma quando una classe conta 30 elementi, quando le pareti devono contenere molti dolori e poco colore, come si fa? –
Ci guardiamo e sappiamo che non siamo noi due a poter cambiare il sistema della scuola pubblica, almeno non da sole, però… Però possiamo provare a incasellare qualche tassello.
Cosa ci costerebbe dipingere e decorare delle aule grigie, cosa ci costerebbe non rinunciare a una finestra che si apre? La scuola per tutte e tutti è una conquista relativamente recente, ma una scuola che sia pensata per assecondare le vere esigenze dei bambini, spaventa-.
Quindi è un discorso da fare unicamente nella nostra individualità di docenti?
No, perché un docente non è un eroe, un docente deve essere messo in condizione, deve essere reso ABILE a fare il docente, per capire e mostrare al mondo l’immagine che un Paese ha di se stesso-.
Penso che il volto che Clelia desidera mostrare di ciò con cui lei si misura ogni giorno, sia la volontà di tendere verso qualcosa, a partire dalle minuscole cose quotidiane: riciclare a scuola non per un senso di povertà, ma per etica acquisita e introiettata, partire da ciò che in un’aula si possa fare, decorare e orizzontalizzare uno spazio, per rendere i docenti più vicini, ma comunque docenti, così da non costruire una società che miri a venderci il modello del sacrificio perenne, abituata essa stessa ad immolarsi
nel tempo e nello spazio, al fine di ricreare unicamente uno spettro del proletariato urbano che mai e poi mai sia a misura di alunni e alunne.
Tutte queste parole, che vi racconto, sono il frutto di qualche ora di discussione, di confronto, confronto che mi sono imposta di raccontarvi, proprio perché desidero rispettare una cosa che Clelia stessa mi ha trasmesso: – Non usciamo dalla narrazione. Miriamo a concretizzare, a fatturare, ma non più a educare e a sognare, ci dimentichiamo che la parte più bella dell’essere umano è proprio il fanciullo che
alberga dentro di noi, e allora perché continuiamo a proporre come modello scolastico
una struttura aperta a luglio e agosto?
Quando il caldo, l’afa ucciderebbero i nostri figli e i nostri docenti? Perché non tentiamo di cambiare il POV e a pensare una società nella quale madri e padri possano trascorrere del tempo con i piccoli di casa, un tempo in cui litigare, mangiare insieme e conoscersi, piuttosto che delegare tutto al sistema
scolastico? Siamo NOI i primi e le prime a dover pensare un mondo meno grigio, con
pareti dipinte dai nostri sogni.
Clelia, Benedetta, siete solo due sognatrici, non accadrà mai.
Eppure, già siamo in due a non vedere questo limite, già siamo in due a vedere il trompe
l’oeil sia nelle aule del polo Suor Orsola, che nella quotidianità. Abituarci ad accontentarci, ad essere moltitudine a non attivare nessuna secessione culturale, partendo sì, da noi stesse e noi stessi, ma poi arrivando a ciò che una società nel senso più didascalico del termine possa fare, fa paura, proprio come fa paura un Paese a misura di bambino.
A che serve il Latino? Chiedono alunni e alunne, genitori e persone.
La trovo una domanda volgare – mi dice Clelia, ponendosela autonomamente. Se esistono i saperi inutili, di certo, non sono quelli che intendono partire dai nostri spazi per poi tendere a concretizzarsi in luoghi, se è questo di cui pensiamo di necessitare.
Allora, alla fine di questa chiacchierata, alla fine di questo confronto pieno di spazi, torno a casa pensando che non sono sola, anche quando penso che non potrò farcela, esistono persone che, come me, desiderano abitare un mondo in cui si possa dire: No time No space.

NDR: Leggere questo testo può aprire delle porte verso nuovi modi di pensare, creare una comunità di esseri umani che desiderino abitare tempi e spazi, nei tempi e negli spazi che la vita ha riservato loro, lascio il link per l’acquisto e la conseguente lettura, specifico che le parole che ho narrato sono un filo dei discorsi, appunto un’intervista narrata, come dicevo pocanzi e non un botta e risposta, che mi sarebbe apparso sterile. Segnalo, inoltre, che il testo contiene una bella intervista al Presidente della
Biennale: Pietrangelo Buttafuoco.
E se non aveste colto il riferimento, ma lo trovo impossibile, vi consiglio di leggere le pagine del libro con “Mondi Lontanissimi” di Franco Battiato nelle orecchie. Inseguirne i versi per narrare i luoghi, questo è l’intento di Clelia durante il flusso di scrittura: tracciare una mappa poetica dell’altrove.
Ringrazio la Professoressa Clelia Castellano per il tempo che siamo dedicate e
sottolineo che i miei spunti provengono anche dalla lettura stessa del testo.
Se desideraste intrattenere uno scambio e parlare di questa lettura, vi prego di scrivermi
alla mail caporedattorelatestata@gmail.com.
Grazie a buona lettura.
Per il testo clicca qui
Benedetta De Nicola
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