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Il dovere istituzionale di parlar chiaro ai cittadini

Che le nostre istituzioni continuino a non utilizzare una comunicazione chiara, diretta e lineare sull’entità dei rischi per la sicurezza nazionale che vivono i cittadini in questa fase storica è un fattore pericoloso.

È controproducente soprattutto perché non mitiga alcuna minaccia, piuttosto ne nasconde l’entità rendendone la gestione ancor più complessa quando essa si sarà manifestata.

In questi casi, trasmettere eccessiva superficialità e rasserenare può risultare un atteggiamento ingannevole se persistono o addirittura aumentano dei rischi per la sicurezza dei cittadini, dinanzi a cui si è impreparati. L’Italia è parte integrante di Unione Europea e Nato: due organizzazioni – una politica, l’altra militare – oggi interessate da minacce securitarie che potrebbero trascinarne i membri in una guerra convenzionale ad alta intensità, contro degli Stati nemici. Su tutti, la Russia: un attore geopolitico autoritario che persegue un disegno strategico di tipo imperiale e sta provando a ricondurre sotto la sua sfera di influenza diversi Stati – oggi democratici – che hanno fatto parte dell’Unione Sovietica o del cosiddetto “Mondo Russo” (l’insieme dei Paesi che Mosca ritiene storicamente appartenenti alla sua galassia politica e considera da riportare sotto il proprio controllo). Tra questi, oltre all’Ucraina attaccata prima nel 2014 con l’invasione del Donbass e l’annessione della penisola di Crimea, poi nel 2022 con una guerra su larga scala, ci sono la Polonia ed i paesi baltici come Estonia, Lettonia e Lituania, tutti facenti parte di Ue e Nato. 

LA REGOLA DEI TRE MOSCHETTIERI PER LA NATO: “UNO PER TUTTI, TUTTI PER UNO”

Un attacco diretto contro uno di essi, o contro altri membri dell’alleanza atlantica, comporterebbe l’applicazione dell’Articolo 5 del Trattato Nord-Atlantico: prevede l’entrata in soccorso (alias, in guerra) di tutti i membri se uno di essi viene aggredito. In queste settimane la Russia sta aumentando l’intensità di minacce e provocazioni per testare la capacità di reazione degli Stati europei: sconfina nello spazio aereo di alcuni di essi con droni utili a spiare tecnologie ed avamposti civili e militari avversari, al fine di raccogliere informazioni. Oppure, viola i cieli avversari con i droni suicidi d’attacco di fabbricazione iraniana con cui colpisce da anni l’Ucraina, o tramite alcuni caccia da guerra o missili.

Non si tratta di uno sbaglio, piuttosto gli eventi sono parte di una strategia accurata da parte di Mosca che punta a creare progressivamente tensione nelle opinioni pubbliche europee. L’intelligence di alcuni Stati occidentali ha confermato che i russi stanno usando anche le loro navi cisterna “civili” per lanciare e controllare droni militari contro i Paesi europei. Di conseguenza, si è chiesto alle istituzioni che il Mar Baltico ed altre zone d’accesso marittimo continentali vengano interdetti alle navi cisterna russe. Secondo le dichiarazioni del presidente ucraino Zelensky l’Italia potrebbe essere la prossima a sperimentare l’incursione di droni nel proprio spazio aereo, uno scenario poi confermato come verosimile e temibile dal Generale di Corpo d’Armata Giorgio Battisti.

L’escalation delle tensioni con la Russia potrebbe aumentare il coinvolgimento degli attori europei – Italia inclusa – nelle ostilità. Uno scenario a cui né militarmente, né politicamente siamo pronti: la nostra opinione pubblica considera la guerra convenzionale un tema archiviato storicamente con la fine del secondo conflitto globale e non concepisce la possibilità di riviverne caratteristiche e conseguenze nell’epoca attuale. Potrebbe tuttavia nel prossimo futuro dover attraversare questa condizione, ragion per cui le istituzioni avrebbero il compito di essere chiare nel comunicare il pericolo esistente per la popolazione.

LA NOSTRA SICUREZZA È INSUFFICIENTE

Secondo i massimi vertici dell’esercito, necessiteremmo di almeno 20mila soldati in più tra le milizie di terra e 10mila in quelle della Marina Militare per raggiungere appena la cosiddetta “soglia di sopravvivenza”. Solo nell’anno corrente stiamo spendendo il 2% del Pil per la difesa, con 11 anni di ritardo dato che questa percentuale era stata concordata con gli alleati Nato nel 2014.

Una soglia ritenuta dal principio punto di partenza e non d’arrivo, già superata dagli accordi siglati al vertice dell’alleanza atlantica tenutosi all’Aja, nei Paesi Bassi, pochi mesi fa: in quella sede si è deciso di raggiungere, per tutti gli stati membri, la percentuale del 5% del Pil da spendere per la difesa – ripartita con il 3,5% in acquisti e produzione di strumenti militari convenzionali ed il restante 1,5% in investimenti nel settore della sicurezza (ad esempio, quella tecnologica, informatica e cyber) e delle infrastrutture strategiche – entro il 2035.

L’urgente necessità di riarmarsi è data dall’incombenza delle minacce per la sicurezza nazionale che potrebbero materializzarsi in attacchi diretti o asimmetrici (sabotaggi, omicidi mirati contro personalità istituzionali o appartenenti al mondo della difesa, hackeraggi peggiori di quelli già avvenuti) e trovare l’Italia impreparata anche sul crinale politico e sociale, oltre che militare. È fondamentale che i vertici politici italiani si spieghino apertamente le sfide dell’attualità geopolitica e le ragioni per cui la popolazione debba accettare – per la tutela della propria sicurezza – decisioni impopolari e difficili. In caso contrario, sviare dalla responsabilità e rinunciare a sincerità e chiarezza si rivelerà un boomerang che amplificherà la distanza tra cittadini ed istituzioni, soprattutto con l’acuirsi della crisi.

Tommaso Alessandro De Filippo

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Tommaso Alessandro De Filippo

Napoletano, classe 2000, laurea in Scienze della Comunicazione. 25 anni, decisamente pochi per conoscere il mondo ma abbastanza per sognare di capirlo, viverlo e, nel frattempo, provare a studiarne ogni dinamica. Ritengo non si possa focalizzare lo sguardo solo sui confini interni al proprio Paese ma sia fondamentale guardare anche e soprattutto all’estero ed a tutto il resto del pianeta che circonda, condiziona ed influenza le nostre vite quotidiane. È da questo pensiero che si è strutturata la mia passione per la politica estera, che su La Testata provo ad intersecare con la scrittura delle storie, presenti e passate, della mia città o di questa società malsana che abitiamo e dobbiamo tutti provare a cambiare in meglio. Leggetemi, se volete. Mi aiuterà a sentirmi apprezzato e validato. Criticatemi, se potete. Mi aiuterà a migliorare, per me stesso e la collettività.
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