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Quella della Gen Z in Nepal è una rivoluzione che cambia la storia

Le rivolte scoppiate in Nepal per mano della Gen Z non si possono raccontare con un approccio comunicativo ed analitico che le racchiuda nella descrizione di un mero fatto di cronaca geopolitica.

Nascono con l’intento di ribellarsi contro le percepite ingiustizie subite per mano di un vertice istituzionale corrotto, opportunista, obsoleto e lontano dagli interessi della popolazione, ma presentano dei tratti avanguardisti ed innovativi che sono destinati a far la storia.

La rivoluzione della Gen Z in Nepal è frutto dell’elaborazione dinamica di un’idea penetrata in profondità nell’anima di una fascia generazionale, che ha unito la speranza con la volontà d’azione nel tentativo di dare una prospettiva rosea al proprio futuro.

L’ideale di quei ragazzi è rivoluzionario non solo perché promosso da una generazione giovane, bensì per la sua capacità di coniugare, rispettare ed assimilare le diversità interne ai movimenti in funzione del perseguimento di un obiettivo comune. In Nepal non si è soltanto stravolto il quadro istituzionale, ma si è modifica la struttura di idee e valori nazionali atavici.

I rappresentanti politici locali hanno storicamente adottato un approccio autoritario nei confronti dei cittadini: economia, tutela dei diritti civili e libertà d’espressione sono state governate, indirizzate o limitate da uno Stato centralista. Il suo dirigismo si è spesso congiunto con il moralismo e la repressione nell’esercizio del potere adottate dai governi, che ha determinato il compimento di azioni in controtendenza con esigenze e volontà dei cittadini, giustificate attraverso la retorica della tutela della sicurezza, dello “spirito valoriale della patria” e del “sentimento d’orgoglio della nazione nepalese”. 

I giovani nepalesi rivisitano valori nazionali storici

Un approccio percepito come prevaricatorio ed ingannevole dai cittadini che – a fronte di astratte promesse di non meglio definite tutele securitarie e morali – hanno sperimentato una negazione dei propri diritti. I manifestanti hanno comunque contrastato questo schema con metodi avanguardisti: la loro scelta – rivelatasi un fattore decisivo per il buon esito della rivoluzione – è stata rivisitare i valori storici del Paese e non cancellarli, dimostrando la volontà di curare l’anima del Nepal, senza distruggerla per scopi opportunistici.

La Gen Z ha creato la fucina di nuovo patriottismo, conservando il rispetto per le radici storiche nazionali ma senza sconfinare nel baratro dell’estremismo ideologico, promotore dell’odio e sabotatore di ogni possibile avvento di futuro prospero e pacifico.

Il concetto stesso di difesa della patria è stato rivisitato e destrutturato rispetto alla forma conosciuta nelle opinioni pubbliche occidentali: qui è spesso considerato sinonimo del nazionalismo e raccontato quale visione che imponga di schiacciare o escludere una componente etnica, culturale o religiosa differente. In Nepal l’orgoglio nazionale dei manifestanti non si è intrecciato con alcuna ambizione espansionistica o componente ideologica da imporre esternamente, piuttosto ha rafforzato la volontà di impegnarsi per tutelare la giustizia sociale e garantire possibilità eque ad una popolazione provata da decenni di povertà.

Non c’è stata presunzione nella rivoluzione dei giovani nepalesi: la durezza delle azioni compiute in strada aveva come fine quello di aprire la società verso l’esterno, rifiutando una chiusura culturale ed ideologica imposta dalle istituzioni. Non a caso, è stato il blocco dei social media ad innescare la miccia della rivolta popolare: si trattava di una decisione insostenibile ed inaccettabile per una generazione vogliosa di relazionarsi liberamente anche attraverso la tecnologia, tanto in patria quanto con il resto del mondo. 

La corruzione intrecciata con paternalismo e patriarcato

La corruzione ramificata nella classe politica nepalese si è spesso allacciata ad altre forme di invalidazione sociale: verso le minoranze, l’opposizione, le donne. Mai una donna aveva ricoperto il ruolo di Primo Ministro, mai i giovani erano stati al centro di un programma elettorale o istituzionale che avesse un approccio innovativo e d’avanguardia. Questi sono alcuni dei tratti che denotano quanto il paternalismo istituzionale si fosse intersecato con arretratezza culturale e patriarcato, ponendo un’ipoteca sulla possibilità d’accesso ad una società giusta, equa e libera per i nepalesi.

Non appena il regime è caduto, qualcosa è subito cambiato: la guida del governo ad interim è stata affidata alla 73enne Sushila Karki, l’ex presidente della Corte Suprema. Sarà in carica per 6 mesi esatti, poi il Paese tornerà ad elezioni con l’obiettivo di assicurarne lo svolgimento in maniera democratica. Il governo Karki è comunque già destinato a ritagliarsi un ruolo nella storia perché guidato da una donna per la prima volta nella storia del Nepal ed in virtù della modalità con cui è nato.

Ovvero, grazie all’utilizzo della piattaforma Discord: i manifestanti hanno identificato il profilo della Karki come quello più affidabile per il periodo di transizione ed assestamento politico post rivoluzione, scegliendola successivamente come nuova premier attraverso un voto sull’app.

Quest’aspetto evidenzia come la Gen Z non abbia solo favorito un cambio di regime in Nepal, bensì già modificato radicalmente il rapporto tra istituzioni e cittadini. I palazzi del potere dati alle fiamme e distrutti, le armi brandite come a simboleggiare un urlo proveniente dall’interno dell’animo popolare, sono un simbolo che potrebbe essere destinato a fungere da modello anche altrove, perché estremamente autentico.

È l’idea dietro l’azione dei nepalesi a validarne ulteriormente i risultati conseguiti. Qualcuno ne seguirà l’esempio nel resto del mondo?

Tommaso Alessandro De Filippo

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La Redazione

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