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Nei meandri del silenzio: la rinascita dei sotterranei gotici della Certosa di San Martino

Immagina di salire lentamente verso la collina del Vomero, dove l’aria si fa più leggera e il frastuono della città svanisce come un’eco lontana. Napoli si ritira sotto di te, come se si inginocchiasse dinanzi alla grandezza del panorama.

Qui, sospesa tra cielo e mare, si erge la Certosa di San Martino: non solo monastero, ma soglia tra visibile e invisibile, luogo in cui la pietra sussurra e il silenzio prega.

Ma oggi il tuo sguardo non si poserà sulle terrazze abbaglianti o sugli affreschi barocchi che accendono di luce le sue navate. Oggi, quel che ti attende è un cammino diverso, un invito a scendere. Varca porte chiuse da decenni, abbandona la luce e lascia che l’ombra ti accolga. I sotterranei gotici della Certosa, rimasti per secoli sepolti nel grembo della storia, tornano finalmente a respirare.

È un mondo di pietra nuda e archi acuti, di umidità che sa di memoria, di passi che risvegliano echi dimenticati. Un tempo erano cisterne, granai, passaggi al servizio della vita monastica; oggi sono testimoni silenziosi di una Napoli invisibile, nascosta sotto l’incanto della sua superficie. Un luogo dove tutto tace, ma nulla è muto.

Dopo anni di restauro paziente, questo cuore sotterraneo della Certosa riapre le sue porte. E ci invita a entrare, non solo nei suoi ambienti, ma anche in una regione remota e profonda del nostro immaginario.

L’inizio di un racconto lungo sette secoli

La storia della Certosa di San Martino comincia nel 1325, per volontà di Carlo di Calabria, figlio del re Roberto d’Angiò. Egli scelse, per la sua fondazione, il colle del Vomero: allora un luogo remoto, attraversato dai venti e abitato solo da eremiti.

Affidata all’Ordine certosino, la struttura fu pensata come spazio di silenzio assoluto, dove ogni elemento architettonico fosse al servizio del raccoglimento. E se l’anima del luogo rimase sempre fedele all’austerità monastica, il suo volto mutò nel tempo.

Tra XVII e XVIII secolo, la Certosa si trasformò: lo stile gotico si fuse con le meraviglie del barocco, le sue sale si arricchirono di affreschi, stucchi, marmi, opere di Fanzago, Luca Giordano, Caracciolo, Ribera. Era il riflesso perfetto di Napoli: città di contrasti, capace di unire la contemplazione e il fasto, l’ascesi e la bellezza.

Ma sotto tutto questo, sotto i chiostri ordinati e gli ori degli altari, un’altra Certosa cresceva nel silenzio: quella delle profondità.

Pietra, umidità e memoria

Scavati nella roccia tufacea del colle, i sotterranei nacquero come luoghi d’uso: cisterne per raccogliere l’acqua, magazzini per cibo e vino, ambienti per le attività manuali dei monaci. Le volte in pietra viva, le arcate ogivali, i corridoi che si snodano come vene sotto la pelle del monastero, raccontano un’architettura sobria e duratura, nata non per stupire ma per resistere. In questa essenzialità, quasi ascetica, si nasconde la loro bellezza più autentica.

Fu l’archeologo Vittorio Spinazzola, nel primo Novecento, a cogliere la portata monumentale di queste strutture affermando:

«(Circa le arcate dei sotterranei) Sono degne della grandiosità della Roma imperiale».

Durante i secoli, questi spazi vissero mille vite: rifugio per monaci in fuga, nascondiglio per opere d’arte, deposito militare. Alcune voci, mai del tutto confermate, parlano persino di cunicoli segreti che conducevano a Castel Sant’Elmo, usati nei tempi del pericolo.

Poi, il silenzio. Con la soppressione degli ordini religiosi, l’abbandono avvolse questi luoghi come una seconda pelle. Rimasti chiusi per oltre mezzo secolo, dimenticati, si sono lasciati abitare solo dalla polvere e dalla memoria.

Una riscoperta voluta dal tempo

Ci sono luoghi che non si impongono: aspettano. I sotterranei della Certosa di San Martino sono uno di questi.

Negli ultimi anni, grazie all’impegno della Direzione regionale Musei Campania, un complesso intervento di restauro ha riportato alla luce questi ambienti: consolidamento, messa in sicurezza, studio delle stratificazioni, rimozione dei detriti. Un lavoro meticoloso, rispettoso, quasi liturgico.

E ora, finalmente, aprono al pubblico. Il 3 luglio 2025, in via straordinaria, i sotterranei della Certosa saranno visitabili in orario serale, dalle 17:00 alle 21:00 (ultimo ingresso alle 20:00).
L’accesso è possibile solo su prenotazione, con due turni disponibili: alle 17:00 e alle 18:45.

È possibile prenotare al seguente link:
https://cultura.gov.it/evento/aperture-straordinarie-serali-e-visite-guidate-alla-scoperta-delle-origini-della-certosa

Un’occasione rara per attraversare la soglia del tempo.

Un’esperienza sensoriale e spirituale

Entrare nei sotterranei non significa soltanto visitare un luogo. Significa entrare in un’altra percezione.

La luce arriva filtrata, come un’ospite discreta. Le ombre danzano sulle pietre, le gocce d’acqua cadono con lentezza, come preghiere dimenticate. Alcuni ambienti ospitano installazioni effimere: fasci di luce, suoni ovattati, proiezioni evanescenti. Tutto è misurato, come un respiro trattenuto.

In uno degli spazi più ampi, una cisterna circolare perfettamente conservata testimonia la maestria idraulica dei certosini. In un altro, più intimo, una cappella spoglia custodisce un altare in pietra: nudo, silenzioso, ancora in ascolto.

Il cuore che batte sotto la pietra

Napoli è fatta di strati. E in ognuno di essi vibra un tempo diverso, una verità taciuta.
La riapertura dei sotterranei della Certosa di San Martino è molto più di un evento culturale: è un atto d’amore verso la città profonda, quella che non si mostra, ma si lascia trovare.

E allora, quando risalirai alla luce, dopo aver camminato nel ventre silenzioso del monastero, potresti accorgerti che il buio non è assenza.
È grembo. È attesa. È voce che mormora piano.
E che a volte è proprio nel silenzio che Napoli dice le sue parole più vere.

Antonio Palumbo

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Antonio Palumbo

Antonio Palumbo, classe 1999, è dottore in Lettere Moderne e attualmente completa la propria formazione con una magistrale in Filologia Moderna presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Insegna Lingua e Letteratura Italiana in un istituto scolastico privato e, appassionato di lettura e di scrittura, dedica il suo tempo libero anche alla fotografia naturalistica e al collezionismo di libri e di monete antiche. Insegue il sogno di visitare il mondo e di scoprire tutto il fascino e la complessità delle diverse culture umane.
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