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In Calabria si parla occitano

Nel cuore selvaggio della Calabria, tra monti antichi e mari leggendari, vive una lingua che è un sussurro del passato, un’eco di amori, guerre e migrazioni: l’occitano.

Non solo una lingua, ma una melodia antica che attraversa i secoli: tra i borghi in pietra, gli ulivi secolari e i silenzi della montagna, l’occitano risuona, con la sua voce tenue ma sempre più viva.

L’occitano calabrese non è nato lì, ma è giunto come un “seme portato da lontano”. Derivato dal latino volgare, come l’italiano, lo spagnolo e il francese, si sviluppò nel sud dell’attuale Francia meridionale; nel corso del XV secolo, poi, gruppi di Valdesi giunsero in Calabria per sfuggire alle persecuzioni religiose.

Questi ultimi si stabilirono in alcune zone montane della regione, portando con sé la loro lingua: una variante dell’occitano alpino; in alcuni centri, come a Guardia Piemontese, un piccolo borgo arroccato nella provincia di Cosenza, l’occitano si è mantenuto per secoli, protetto dall’isolamento geografico e dal forte senso identitario della comunità.

Ancora oggi, alcuni abitanti parlano il guardiolo, una forma di occitano. Per seguire le tracce della conoscenza degli occitani in Calabria è possibile visitare due musei dedicati: il Museo Valdese e il Museo Multimediale Occitano.

“La lenga occitana es una lenga romanica que se parla dins lo sud de Franca”.

(esempio di frase in occitano)

Il nome occitano deriva da “oc”, che significa “si”. Nel De Vulgari Eloquentia Dante Alighieri usò la distinzione fra le lingue del “sì” (come l’italiano), dell’oc (occitano) e dell’oïl (francese).

Nel corso degli anni in concomitanza ci sono diffuse numerose varianti dialletali, tra cui il guascone, il provenzale, il limosino e il languedociano; molto vicino al catalano e al francese ha però mantenuto tratti propri come ad esempio l’uso dell’articolo lo e la e i verbi coniugati in modo più simile all’italiano. La storia dell’occitano è strettamente legata alla storia culturale e politica dell’Europa occidentale soprattutto della Francia. Nel X secolo l’occitano era una lingua autonoma; conobbe il suo massimo splendore culturale nel corso del medioevo dove i trovatori, poeti-cantori aristocratici, usarono l’occitano per comporre poesia lirica amorosa, religiosa e politica.

All’epoca l’occitano era una delle lingue internazionali della cultura; cominciò a vivere un momento di declino a partire dal 1209 con l’inizio della Crociata Albigiese sino alla completa marginalizzazione favorita dall’ ufficializzazione della lingua francese in ambito amministrativo. Nell’Ottocento la Terza Repubblica Francese avviò una politica di assimilazione linguistica: l’occitano venne bandito dalle scuole e i bambini che lo parlano vengono puniti e umiliati. A partire però dagli anni ‘60 e gli anni ‘70 del secolo scorso si svilupparono movimenti occitanisti che lottano per la tutela della lingua e dell’identità culturale; attualmente l’occitano è una lingua minoritaria e in Italia è riconosciuta dalla legge 482/1999.

L’occitano non è solo una lingua: è la voce profonda di una terra, la memoria viva di generazioni che hanno cantato, lottato e vissuto in una cultura unica. La sua storia, segnata e resistente, è l’identità di una comunità e valorizzarla significa affermare che ogni lingua porta con sé un modo di vedere il mondo.

Preservare l’occitano, come ogni lingua minoritaria, è un atto di rispetto anche verso noi stessi: ridare forza alle lingue locali non è nostalgia, ma un gesto di civiltà!

Antonietta Della Femina

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Antonietta Della Femina

Classe ’95; laureata in scienze giuridiche, è giornalista pubblicista. Ha imparato prima a leggere e scrivere e poi a parlare. Alcuni i riconoscimenti e le pubblicazioni, anche internazionali. Ripete a sé e al mondo: “meglio un uccello libero, che un re prigioniero”. L’arte è la sua fuga dal mondo.
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